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sabato 31 ottobre 2009

PESCA: UE CONDANNA ITALIA PER UTILIZZO SPADARE

PESCA: UE CONDANNA ITALIA PER UTILIZZO SPADARE






30-10-09


29 ott - Italia condannata dalla Corte di giustizia delle Comunita' europee in merito all'uso, da parte dei pescatori, delle reti da pesca derivanti, meglio note come 'spadare', proibite dalla normativa comunitaria allo scopo di garantire la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate.

Rileva la Corte: ''Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranita' o giurisdizione, l'esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l'impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l'applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana e' venuta meno agli obblighi che le incombono'' ed '' e' condannata alle spese''.

Inoltre la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha appurato che il nostro Paese ''non ha avviato azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime''.

Gli stati membri dell'Ue, ricorda la C.g.e., sono tenuti "a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo ovvero l'impiego di reti da posta derivanti (le 'spadare') di lunghezza superiore a 2,5 km, e a decorrere dal primo gennaio 2002, la detenzione a bordo o l'utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie".

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Il testo della sentenza

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SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

29 ottobre 2009 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Politica comune della pesca – Conservazione delle risorse – Regime di controllo nel settore della pesca – Regolamento (CE) n. 894/97 – Art. 11 – Regolamento (CEE) n. 2241/87 – Art. 1, nn. 1 e 2 – Regolamento (CEE) n. 2847/93 – Artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2 – Divieto di reti da posta derivanti – Assenza di sistemi di controllo efficaci volti al rispetto di tale divieto»

Nella causa C‑249/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 5 giugno 2008,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re K. Banks e C. Cattabriga, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta dalla sig.ra P. Lindh (relatore), presidente della Sesta Sezione, facente funzione di presidente della Settima Sezione, dai sigg. U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:

– non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e

– non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra,

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca (GU L 207, pag. 1), e degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca (GU L 261, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846 (GU L 358, pag. 5, e – rettifica – GU 1999, L 105, pag. 32; in prosieguo: il «regolamento n. 2847/93»).

Contesto normativo

La normativa in materia di reti da posta derivanti

2 Il primo regime comunitario di conservazione e gestione delle risorse della pesca è stato istituito con il regolamento (CEE) del Consiglio 25 gennaio 1983, n. 170, che istituisce un regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse della pesca (GU L 24, pag. 1). Sulla base di tale regolamento, è stato adottato il regolamento (CEE) del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3094, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 288, pag. 1).

3 L’art. 9 bis del regolamento n. 3094/86, come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 345 (GU L 42, pag. 15), ha istituito il principio del divieto delle reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 km.

4 Il regolamento n. 3094/86 è stato abrogato e sostituito con regolamento (CE) del Consiglio 29 aprile 1997, n. 894, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 132, pag. 1).

5 Gli artt. 11, 11 bis e 11 ter del regolamento n. 894/97, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 8 giugno 1998, n. 1239 (GU L 171, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 894/97»), così recitano:

«Articolo 11

È vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 chilometri.

Articolo 11 bis

1. Dal 1° gennaio 2002 è vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti destinate alla cattura di specie elencate nell’allegato VIII.

(...)

Articolo 11 ter

(...)

6. In caso di inadempimento degli obblighi di cui agli articoli 11 e 11 bis e al presente articolo, le autorità competenti adottano le misure appropriate nei confronti delle navi in questione, a norma dell’articolo 31 del regolamento (CEE) n. 2847/93».

Il regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca

Il regolamento n. 2241/87

6 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 precisava quanto segue:

«1. Per garantire l’osservanza di tutta la normativa in vigore in materia di misure di conservazione e di controllo, ogni Stato membro controlla, nel proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca e delle attività connesse. Esso ispeziona i pescherecci e tutte le attività la cui ispezione dovrebbe consentire la verifica dell’applicazione del presente regolamento, in particolare le attività di sbarco, di vendita, di magazzinaggio del pesce e di registrazione degli sbarchi e delle vendite.

2. Se, in seguito ad un controllo o ad un’ispezione effettuata ai sensi del paragrafo 1, le autorità competenti di uno Stato membro constatano il non rispetto della normativa in vigore in materia di conservazione e di controllo, esse intentano un’azione penale o amministrativa contro il capitano del peschereccio o qualsiasi altra persona responsabile».

Il regolamento n. 2847/93

7 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 così dispone:

«1. Per garantire l’osservanza delle disposizioni della politica comune della pesca, è istituito un regime comunitario comprendente, in particolare, disposizioni sul controllo tecnico:

– delle misure di conservazione e di gestione delle risorse,

– delle misure strutturali,

– delle misure relative all’organizzazione comune dei mercati,

nonché disposizioni relative all’efficacia delle sanzioni da applicare in caso di inosservanza delle misure medesime.

2. A tal fine ogni Stato membro adotta, conformemente alla normativa comunitaria, provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime. Esso dota altresì le proprie autorità competenti di mezzi sufficienti all’espletamento delle loro funzioni ispettive e di controllo definite nel presente regolamento».

8 L’art. 2, n. 1, di tale regolamento così recita:

«Per garantire l’osservanza di tutta la normativa vigente, ciascuno Stato membro controlla, ispeziona e sorveglia, nel proprio territorio e nelle acque marittime sotto la sua sovranità o giurisdizione, tutte le attività della filiera pesca e in particolare l’esercizio della pesca, le attività di trasbordo e di sbarco, di immissione in commercio, di trasporto e di magazzinaggio dei prodotti della pesca nonché la registrazione degli sbarchi e delle vendite. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire il migliore controllo possibile nel proprio territorio e nelle acque marittime sotto la loro sovranità o giurisdizione tenendo conto della loro situazione particolare».

9 L’art. 31 del medesimo regolamento precisa quanto segue:

«1. Gli Stati membri garantiscono che siano prese adeguate misure, compreso l’avvio di azioni amministrative o penali conformemente alle legislazioni nazionali, contro le persone fisiche o giuridiche responsabili, qualora sia stata constatata una violazione delle norme della politica comune della pesca, in particolare in seguito all’ispezione o al controllo effettuati in conformità del presente regolamento.

2. Le azioni promosse ai sensi del paragrafo 1 devono, secondo le pertinenti disposizioni legislative nazionali, privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dall’infrazione o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo.

(...)

3. Le sanzioni conseguenti alle azioni di cui al paragrafo 2 possono includere, a seconda della gravità dell’infrazione:

– la comminazione di pene pecuniarie,

– il sequestro di attrezzi e catture proibiti,

– il sequestro conservativo del natante,

– l’immobilizzazione temporanea del natante,

– la sospensione della licenza,

– il ritiro della licenza.

(...)».

10 Il sucecssivo art. 39 precisa quanto segue:

«1. Il regolamento (CEE) n. 2241/87 è abrogato il 1° gennaio 1994 (...)

2. I riferimenti al regolamento abrogato in forza del paragrafo 1 si intendono fatti al presente regolamento».

11 Ai sensi del suo art. 40, il regolamento n. 2847/93 è entrato in vigore il 1° gennaio 1994.

La fase precontenziosa del procedimento

12 Nel 1992 e nel 1993, avendo ricevuto numerose denunce riguardanti l’uso da parte di pescherecci italiani di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km, la Commissione effettuava due ispezioni che avrebbero rilevato carenze da parte delle autorità italiane nel controllo del rispetto della normativa comunitaria attinente all’utilizzazione delle reti da posta derivanti.

13 Con lettera del 14 marzo 1994, la Commissione richiamava l’attenzione della Repubblica italiana sull’esigenza di garantire, conformemente all’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87, mediante controlli e l’irrogazione di sanzioni, il rispetto della normativa attinente alla lunghezza delle reti da posta derivanti quale stabilita dall’art. 9 bis del regolamento n. 3094/86, come modificato dal regolamento n. 345/92. L’istituzione intimava quindi a tale Stato membro di presentare le sue osservazioni entro il termine di due mesi.

14 Con comunicazione di risposta dell’11 maggio 1994, le autorità italiane replicavano agli addebiti della Commissione.

15 Secondo la Commissione, ispezioni e controlli effettuati nei mesi di luglio 1994, agosto, settembre e ottobre 1995 nonché nei mesi di maggio e giugno 1996 avrebbero rilevato la persistenza di numerose infrazioni alla normativa che vieta il possesso di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km. Sarebbe stata parimenti rilevata l’insufficienza e l’inefficacia dell’intervento delle autorità italiane in materia.

16 Con comunicazione del 24 settembre 1996, trasmessa il 23 ottobre seguente, la Commissione inviava alla Repubblica italiana una diffida complementare in cui contestava allo Stato membro medesimo, in particolare, la persistenza delle carenze in materia di controlli e di sorveglianza del rispetto della normativa attinente all’utilizzazione delle reti da posta derivanti.

17 Nei mesi di maggio e giugno 1997, la Commissione effettuava sei ispezioni in loco: essa avrebbe rilevato la persistenza di violazioni della normativa comunitaria in materia di utilizzazione delle reti da posta derivanti nonché l'inerzia delle autorità italiane incaricate dei controlli. Tale constatazione sarebbe stata confermata da quattro ispezioni effettuate nei mesi di maggio, giugno e luglio 1998, da cinque ispezioni compiute nei mesi di maggio e settembre 1999, da sette ispezioni nel 2000 e da tre ispezioni compiute nell’aprile e nel giugno del 2001.

18 Con lettera del 18 luglio 2001, trasmessa il 24 luglio seguente, la Commissione inviava quindi alla Repubblica italiana una nuova lettera di diffida che riprendeva, sostanzialmente, gli addebiti già formulati in quella precedente.

19 Nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002, nonché nei mesi di maggio, giugno e luglio 2003, la Commissione effettuava controlli che avrebbero consentito di constatare violazioni della normativa attinente all’utilizzazione o al possesso di reti da posta derivanti nonché carenze nel sistema volto al rispetto di tali disposizioni ed a sanzionarne la violazione.

20 In data 16 marzo 2005, la Commissione trasmetteva quindi alla Repubblica italiana un parere motivato in cui le contestava le carenze seguenti:

– molteplicità delle strutture incaricate del controllo sull’uso di reti da posta derivanti non accompagnata da un adeguato coordinamento e dalla necessaria cooperazione tra tali strutture;

– assenza di un programma specifico di controllo per le reti da posta derivanti e di un’adeguata strategia di controllo;

– mancanza di tempo, nonché delle risorse umane e dei mezzi logistici necessari a svolgere un controllo efficace, tenuto conto in particolare della lunghezza delle coste, della dispersione della flotta e della molteplicità di compiti da espletare;

– scarsa conoscenza, da parte del personale incaricato delle procedure di controllo, della normativa applicabile e dell’elenco delle navi autorizzate;

– insufficienza tanto dei controlli a terra, troppo blandi, quanto di quelli in mare, solo occasionali;

– reticenza delle autorità preposte per il rischio di reazioni sociali alle misure di repressione adottate;

– mancata previsione di sanzioni per la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti;

– basso tasso di denuncia, da parte delle autorità di controllo, delle irregolarità constatate ai fini dell’apertura delle conseguenti procedure sanzionatorie, amministrative o penali, e

– inadeguatezza delle ammende applicate, di gran lunga inferiori a quelle applicate in caso di violazione del codice della navigazione o delle norme sanitarie e non aggravate in caso di recidiva.

21 Conseguentemente, veniva contestato alla Repubblica italiana di essere venuta meno, per effetto di tali carenze, agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93. Lo Stato membro medesimo veniva invitato a conformarsi al parere motivato entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.

22 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dalle osservazioni formulate dalla Repubblica italiana, faceva effettuare un’ispezione in loco nel mese di luglio 2005, da cui emergeva che la situazione non presentava cambiamenti.

23 Con lettere del 31 agosto 2005 e del 31 maggio 2006, la Commissione chiedeva alle autorità italiane informazioni precise in ordine al sistema di controllo (risorse umane e materiali, programmazione dei controlli, formazione del personale) e sanzione da esse applicato per garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia di reti da posta derivanti.

24 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dagli elementi di risposta forniti dalle autorità italiane con lettere del 17 ottobre 2005, trasmessa il 6 gennaio 2006, e del 13 luglio 2006 nonché da quelli risultanti da una riunione svoltasi a Roma in data 20 e 21 febbraio 2006, decideva di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

25 A sostegno del proprio ricorso, la Commissione deduce che, fin dalla sua introduzione nel 1992, la normativa sulla pesca mediante le reti da posta derivanti e sulla detenzione a bordo di tali dispositivi è stata sistematicamente ed ampiamente violata dalla flotta da pesca italiana, secondo quanto rilevato dai propri ispettori in occasione di una serie di missioni effettuate in loco. L’istituzione ritiene che l’ampiezza e la gravità di tale fenomeno siano direttamente imputabili all’inefficienza delle autorità italiane, da cui deriva che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma degli artt. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93 per quanto attiene al controllo del rispetto del divieto dell’uso e della detenzione di reti di tal genere. Lo Stato membro medesimo non rispetterebbe peraltro gli obblighi ad esso incombenti ai sensi degli artt. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87 e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 per quanto attiene alla repressione delle violazioni di tale divieto.

26 La Repubblica italiana chiede alla Corte di voler respingere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese. Essa osserva di aver sempre contestato le affermazioni della Commissione, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la quale, peraltro, non avrebbe dimostrato la veridicità delle proprie affermazioni.

27 Detto Stato membro sottolinea, al contrario, che la normativa italiana consente una repressione completa ed efficace delle violazioni della normativa attinente alla detenzione a bordo e all’impiego delle reti da posta derivanti. Peraltro, il Corpo delle Capitanerie di porto, organo specificamente incaricato della sorveglianza e del controllo della pesca, pianificherebbe ed effettuerebbe la propria azione efficacemente.

Osservazioni introduttive

28 Secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v. sentenze 2 giugno 2005, causa C‑282/02, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑4653, punto 40; 22 dicembre 2008, causa C‑189/07, Commissione/Spagna, punto 27, e 11 giugno 2009, causa C‑564/07, Commissione/Austria, punto 23).

29 Pertanto, nel presente procedimento, considerato che il parere motivato è stato notificato in data 16 marzo 2005, gli elementi di fatto prodotti dalla Repubblica italiana e relativi ad un periodo in gran parte successivo alla scadenza del termine fissato nel parere medesimo non possono essere presi in considerazione ai fini della valutazione della fondatezza del presente ricorso (v., per analogia, sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 28).

Sulla portata degli obblighi incombenti sugli Stati membri nel settore della politica comune della pesca

30 L’art. 1 del regolamento n. 2847/93, il quale costituisce, nel settore della pesca, un’espressione particolare degli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 10 CE, prevede che questi ultimi adottino provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse in materia di pesca (v. sentenze 12 luglio 2005, causa C‑304/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑6263, punto 32, e Commissione/Spagna, cit., punto 35).

31 Il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza delle norme comunitarie è da ritenersi imperativo per garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 34, e Commissione/Spagna, punto 36).

32 Gli Stati membri sono tenuti, segnatamente, a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di lunghezza individuale o addizionata superiore a 2,5 km ovvero l’impiego delle medesime nell’esercizio delle attività di pesca nonché, a decorrere dal 1° gennaio 2002, la detenzione a bordo o l’utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie.

33 A tal fine, l’art. 2 del regolamento n. 2847/93, che ricalca gli obblighi dettati dall’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87, impone agli Stati membri di controllare l’esercizio della pesca e le attività ad essa connesse. Esso impone che gli Stati membri ispezionino i pescherecci e controllino tutte le attività nel settore della pesca e, in particolare, l’esercizio della pesca. A tale scopo, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire il miglior controllo possibile sul loro territorio e nelle acque marittime soggette alla loro sovranità o alla loro giurisdizione.

34 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, per quanto attiene alla verifica del rispetto della normativa comunitaria relativa all’esercizio della pesca mediante reti da posta derivanti ed alla repressione delle violazioni alla normativa medesima.

Sul primo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93

Argomenti delle parti

35 A sostegno di tale censura la Commissione ritiene, in primo luogo, che l’inefficacia del sistema di controllo sia connesso alla molteplicità delle strutture incaricate della sorveglianza del controllo delle attività di pesca nonché al fatto che tali strutture non siano coordinate e non cooperino in modo adeguato. Peraltro, le strutture medesime non disporrebbero di sufficienti risorse materiali ed umane. In secondo luogo, l’istituzione lamenta l’assenza di un’adeguata strategia di controllo.

36 A parere della Commissione, il sistema italiano di controllo delle attività di pesca è garantito da quattro strutture differenti, vale a dire il Corpo delle Capitanerie di Porto (Guardia Costiera), la Guardia di Finanza, l'Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato. Esclusa la prima, le altre strutture eserciterebbero tali attività in maniera residuale. Inoltre, lo scambio di informazioni ed il coordinamento tra le strutture medesime sarebbero limitati.

37 Il Corpo delle Capitanerie di Porto non avrebbe quale unico compito quello di garantire il controllo delle attività di pesca, dovendo parimenti assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia delle vite in mare. Orbene, quest’ultimo compito verrebbe svolto principalmente in primavera e in estate, vale a dire durante le stesse stagioni in cui sono più utilizzate le reti da posta derivanti, il che impedirebbe all’amministrazione medesima di dedicarsi pienamente alla propria attività di controllo e di vigilanza sulla pesca. Tale struttura non disporrebbe peraltro di risorse sufficienti, ove tale insufficienza sarebbe caratterizzata dalla mancanza di imbarcazioni, dall’assenza di un sistema di localizzazione via satellite dei pescherecci nonché dalla mancata informatizzazione dei giornali di bordo. L’unica struttura che disporrebbe di imbarcazioni adeguate alle operazioni in alto mare sarebbe la Guardia di Finanza, la quale le utilizzerebbe per le proprie attività. Infine, lo scambio di informazioni tra dette amministrazioni sarebbe limitato e vi sarebbe assenza di coordinamento della loro azione.

38 La Commissione deduce che, sebbene le prime relazioni di ispezione da essa prodotte a sostegno del ricorso risalgano al 1994 ed al 1996, le violazioni alla normativa attinente all’impiego delle reti da posta derivanti e l’atteggiamento lassista delle autorità persisterebbero, come emergerebbe dalle denunce trasmesse dalle associazioni di tutela dell’ambiente e da una relazione effettuata a seguito di una missione effettuata da ispettori della Commissione nel mese di luglio 2008.

39 Per quanto attiene all’assenza di una strategia di controllo, la Commissione sostiene che il Corpo delle Capitanerie di Porto non programmi in modo adeguato e non pianifichi le proprie operazioni di controllo sull’impiego delle reti da posta derivanti. Peraltro, i controlli si concentrerebbero sul periodo immediatamente precedente l’inizio della campagna di pesca, verrebbero svolti a terra e sarebbero sporadici.

40 Tale pianificazione potrebbe essere assicurata qualora si tenesse conto che la pesca mediante reti da posta derivanti viene praticata essenzialmente nelle regioni tirreniche, vale a dire al largo della Calabria, della Campania e del Lazio, nonché della Sardegna. Inoltre, tale pesca verrebbe effettuata unicamente nei mesi compresi tra aprile e settembre e le imbarcazioni che la praticano misurerebbero più di dieci metri e sarebbero equipaggiate con un rullo salva rete. Infine, talune di queste imbarcazioni, benché abbiano beneficiato di aiuti comunitari per facilitare la loro riconversione, continuerebbero ad esercitare l’attività di pesca mediante reti da posta derivanti laddove sarebbe facile effettuare controlli.

41 Nonostante le reiterate richieste della Commissione, le autorità italiane non avrebbero trasmesso elementi concreti volti a dimostrare l’esistenza di operazioni di pianificazione delle attività di controllo.

42 Secondo la Repubblica italiana, l’organismo incaricato dei controlli in materia di pesca è il Corpo delle Capitanerie di Porto. Non sarebbe necessario coordinare l’azione di tale struttura con quelle delle altre strutture che si limiterebbero ad un’attività di sostegno all’esercizio di tale compito. Le azioni di panificazione e di controllo attuate sarebbero soddisfacenti.

43 Le relazioni delle ispezioni effettuate del luglio 1994 e del maggio 1996 menzionate dalla Commissione sarebbe risalenti nel tempo e non rispecchierebbero in modo significativo la situazione attuale delle azioni svolte dalle autorità italiane. Secondo la Repubblica italiana, i rapporti redatti dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005‑2007 hanno ben diverso valore. Tali rapporti evidenzierebbero come detta amministrazione abbia posto in essere un’azione efficace, d’altronde riconosciuta dagli ispettori comunitari in occasione della loro missione effettuata nel giugno del 2006. Peraltro, le relazioni prodotte dalla Commissione e provenienti da organizzazioni private sarebbero inidonee a dimostrare alcunché. Infine, la relazione della missione effettuata dagli ispettori della Commissione nel mese di luglio 2008 sarebbe poco significativa, in quanto effettuata nell’estate del 2008 nella zona di Lampedusa, caratterizzata all’epoca da un imponente flusso di immigrazione clandestina tale da rendere indispensabile l’intervento delle autorità.

44 Per quanto attiene alla pianificazione dei controlli, la Repubblica italiana afferma che dai rapporti redatti dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005-2007 emerge che tale amministrazione ha posto in essere un’azione efficace e pianificata di monitoraggio e controllo delle attività di pesca.

Giudizio della Corte

45 Nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari affinché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v. sentenza 26 aprile 2005, causa C‑494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331, punto 41 e giurisprudenza ivi richiamata).

46 Tuttavia, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far risultare che le autorità di uno Stato membro hanno posto in essere una prassi reiterata e persistente contraria al diritto comunitario, spetta allo Stato membro medesimo confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti, nonché le conseguenze che ne derivano (v., per analogia, sentenze Commissione/Irlanda, cit., punto 47 e giurisprudenza ivi richiamata, nonché 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3475, punto 32).

47 A sostegno del ricorso la Commissione ha prodotto 33 relazioni di ispezioni cui essa ha fatto procedere, nel periodo compreso tra il 1993 e il 2005, in vari porti di pesca italiani al fine di verificare il rispetto della normativa comunitaria relativa alla pesca mediante reti da posta derivanti.

48 Dalle singole ispezioni emerge che la detenzione a bordo e l’impiego, da parte dei pescatori italiani, di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso erano frequenti, abituali e ampiamente diffusi durante tutto il periodo oggetto del presente procedimento.

49 Dalle ispezioni medesime risulta parimenti che le autorità incaricate della vigilanza di controllo delle attività di pesca non avevano posto in essere un’azione sufficientemente efficace per reprimere le violazioni alla normativa comunitaria e per evitare la loro reiterazione. Dalle ispezioni è emerso, in particolare, che il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva delle risorse umane e materiali sufficienti per effettuare operazioni in alto mare e che operazioni di tal genere potevano essere effettuate unicamente dalla Guardia di Finanza. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva, peraltro, di sistemi di localizzazione via satellite dei pescherecci. Infine, è apparso che l’azione del Corpo delle Capitanerie di Porto non costituiva oggetto di una pianificazione che consentisse di renderla più efficace.

50 Si deve necessariamente rilevare che la Repubblica italiana non contesta il fatto che durante il periodo oggetto del presente procedimento per inadempimento fossero frequenti le violazioni, da parte dei pescatori italiani, al divieto di detenzione a bordo e di impiego di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Peraltro, la Repubblica italiana, sebbene sostenga che le azioni di sorveglianza e controllo delle attività di pesca nonché la pianificazione delle azioni medesime siano quasi esclusivamente compito del Corpo delle Capitanerie di Porto, produce, al fine di dimostrare che l’azione di tale amministrazione sia pianificata ed efficace, relazioni concernenti unicamente gli anni 2005-2007. Orbene, tali relazioni riguardano un periodo largamente successivo alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e non possono pertanto essere prese in considerazione.

51 La Repubblica italiana non ha peraltro contraddetto l’affermazione della Commissione secondo cui il Corpo delle Capitanerie di Porto non ha quale unico compito quello di sorvegliare e controllare le attività di pesca, dovendo parimenti far fronte ad altri compiti come assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia delle vite umane in mare, compiti esercitati principalmente nello stesso periodo in cui vengono utilizzate le reti da posta derivanti. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non può quindi esercitare pienamente i propri compiti di controllo e di sorveglianza delle attività di pesca.

52 Dai suesposti rilievi emerge che, nel periodo oggetto del presente procedimento, la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e che l’addebito relativo all’inefficienza delle autorità italiane nell’esercizio e nella pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo è fondato.

Sul secondo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87 e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93

53 A sostegno di tale censura la Commissione, in primo luogo, contesta l’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla repressione della detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è proibito l’impiego. In secondo luogo, l’istituzione sostiene che le autorità di controllo non denuncino in misura sufficiente le violazioni accertate ai fini dell’avvio dei relativi procedimenti. Le sanzioni inflitte nei casi di perseguimento delle violazioni non sarebbero peraltro né efficaci né dissuasive.

Sull’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla repressione della detenzione di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego

– Argomenti delle parti

54 La Commissione osserva, in primo luogo, che, contrariamente a quanto disposto dagli artt. 11 e 11 bis del regolamento n. 894/97, la normativa italiana vigente all’epoca del parere motivato, vale a dire la legge 14 luglio 1965, n. 963 (GURI n. 203 del 14 agosto 1965), non prevedeva sanzioni per la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della normativa italiana, la detenzione a bordo di tali reti verrebbe sanzionata solamente ove sia stata accertata durante la navigazione ovvero nel momento in cui l’imbarcazione salpa. La mancata tipizzazione quale illecito della semplice detenzione di dette reti a bordo delle imbarcazioni produrrebbe la conseguenza che l’accertamento delle violazioni potrebbe avvenire solo in mare o al momento dell’uscita dal porto, il che complicherebbe i controlli.

55 La Commissione prende atto della legge 6 giugno 2008, n. 101 (GURI n. 132 del 7 giugno 2008, pag. 4), che prevede come illecito la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Tuttavia, tale legge è intervenuta tre anni dopo il termine fissato nel parere motivato. Peraltro, gli artt. 15 e 26 della legge 14 luglio 1965, n. 963, avrebbero consentito di sanzionare solamente la pesca effettuata mediante strumenti non ammessi, ma non la semplice detenzione a bordo dei medesimi. Infine, sarebbero sussistiti seri dubbi quanto alla validità, quale fondamento del divieto della detenzione di dette reti, dei regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155. Infatti, la giurisprudenza dominante avrebbe considerato il regio decreto 4 aprile 1940, n. 1155, implicitamente abrogato per effetto della legge 14 luglio 1965, n. 963.

56 La Repubblica italiana deduce che la legge 6 giugno 2008, n. 101, vieta la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego.

57 Lo Stato membro medesimo sottolinea che, già prima della modifica legislativa intervenuta nel 2008, la pesca effettuata mediante strumenti non consentiti risultava vietata, nell’ordinamento giuridico italiano, dalla legge 14 luglio 1965, n. 963.

58 La Repubblica italiana sostiene parimenti che, anche prima dell’adozione della legge 6 giugno 2008, n. 101, l’amministrazione nazionale riteneva possibile sanzionare la semplice detenzione di reti da posta derivanti di cui è proibito l’uso richiamandosi ai regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155, impartendo istruzioni in tal senso. Conseguentemente, la detenzione a bordo di strumenti di pesca di cui è vietato l’impiego era considerata vietata in Italia. La legge 6 giugno 2008, n. 101, avrebbe semplicemente raddoppiato l’importo delle ammende previste, disponendo la confisca delle reti di cui trattasi, la loro immediata distruzione e la sospensione della licenza di pesca. Lo Stato membro medesimo ne trae la conclusione che l’addebito, nella parte attinente all’insufficienza della normativa di repressione, è venuto meno.

– Giudizio della Corte

59 In caso di violazione della normativa comunitaria in materia di conservazione e controllo della pesca e, più in particolare, della normativa relativa alle restrizioni all’impiego delle reti da posta derivanti, le autorità competenti di uno Stato membro erano tenute ad intentare un’azione penale o amministrativa contro i responsabili, in conformità dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87. Analogo obbligo incombe agli Stati membri dal 1° gennaio 1994, ai sensi dell’art. 31, n. 1, del regolamento n. 2847/93 (v. sentenza 25 aprile 2002, cause riunite C‑418/00 e C‑419/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑3969, punto 62).

60 La Repubblica italiana era dunque tenuta ad adottare e porre in essere una normativa che prevedesse azioni amministrative o penali nei confronti dei responsabili delle violazioni del divieto di detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego.

61 È pacifico che la legge 6 giugno 2008, n. 101, preveda sanzioni in caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge è stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e resta priva di effetti sulla valutazione della sussistenza dell’inadempimento contestato.

62 Peraltro, è altresì pacifico che, prima della modifica per effetto della legge 6 giugno 2008, n. 101, la legge 14 luglio 1965, n. 963, non puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti. Occorre quindi accertare se, come sostiene la Repubblica italiana e come contesta invece la Commissione, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, i regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155, costituissero un fondamento normativo sufficiente per l’esercizio di azioni volte a sanzionare la detenzione a bordo di reti da posta derivanti il cui impiego è vietato dalla normativa comunitaria.

63 A tale riguardo, dalle circolari 19 giugno 2006, n. 1/2006, e 10 gennaio 2007, n. 4/2007, prodotte all’udienza, emerge che il governo italiano incitava l’amministrazione a procedere alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego e a disporre sanzioni amministrative fondandosi sui regi decreti medesimi. Tuttavia, nelle proprie memorie la Repubblica italiana riconosce che la confisca delle reti in questione si fondava su un’interpretazione di detti decreti i quali, secondo l’amministrazione, potevano continuare ad essere considerati vigenti laddove sussistevano invece dubbi in ordine alla questione se fossero stati abrogati o meno.

64 Tuttavia, oltre al fatto che le menzionate circolari sono state adottate successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, non si può ritenere che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano valido adempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri nel contesto dell’applicazione dei regolamenti comunitari (v., in tal senso, per quanto attiene alla trasposizione delle direttive, sentenza 10 maggio 2007, causa C‑508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑3787, punto 80 e la giurisprudenza ivi richiamata, nonché, per quanto attiene all’adempimento degli obblighi risultanti dal Trattato CE, sentenza 8 luglio 1999, causa C‑203/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4899, punto 14).

65 Ne consegue che, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, nella normativa italiana non esistevano disposizioni che vietassero chiaramente la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso e prevedessero sanzioni per le violazioni del divieto medesimo. Il secondo addebito risulta pertanto fondato sotto tale profilo.

Sull’insufficienza delle denunce delle violazioni e sull’esiguità delle sanzioni

– Argomenti delle parti

66 A parere della Commissione, dai documenti trasmessi dalle autorità italiane nell’ambito della fase precontenziosa del procedimento emerge che, anche nei casi in cui sono state accertate infrazioni, le autorità di controllo non hanno trasmesso l’informativa alle autorità competenti ai fini del relativo perseguimento. Inoltre, le infrazioni non sarebbero state né perseguite né sanzionate efficacemente. Infatti, il numero di sanzioni inflitte sarebbe ridotto e le ammende risulterebbero di esigua entità rispetto agli importi previsti dalla normativa nazionale nonché rispetto al prezzo di una rete da posta derivante. Infine, le ammende non sarebbero state aumentate in caso di recidiva.

67 Peraltro, i provvedimenti accessori quali il sequestro delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso sarebbero stati inefficaci. Infatti, le reti sequestrate sarebbero state lasciate sotto la custodia degli stessi autori delle violazioni. Il numero di reti sequestrate, anche relativamente agli anni 2005-2007, sarebbe troppo esiguo rispetto al numero di pescherecci che utilizzano tale tipo di rete. La Commissione relativizza parimenti l’entità delle confische di reti indicate dalle autorità italiane, deducendo che, atteso che ogni rete da posta derivante ha una lunghezza media di 10 km, il sequestro di 790 000 metri di reti corrisponde al sequestro di 79 reti, cifra ampiamente inferiore al numero di pescherecci multati dalle autorità italiane nel 2007 per violazione del divieto di impiego di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso.

68 Infine, la Commissione fa valere che le autorità italiane non considerano come reti da posta derivanti talune reti la cui utilizzazione è invece vietata dalla normativa comunitaria.

69 La Repubblica italiana produce una serie di rapporti del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005-2007 da cui emergerebbe che l’azione svolta per controllare la detenzione e l’uso delle reti da posta derivanti sarebbe stata pianificata, efficace e produttiva di risultati soddisfacenti. In tal senso, 790 000 metri di reti sarebbero stati confiscati nel 2005, 633 136 metri nel 2006 e 700 000 metri nel 2007. Tale efficacia sarebbe stata riconosciuta dagli ispettori della Commissione in occasione delle loro missioni effettuate nel giugno del 2006.

– Giudizio della Corte

70 L’art. 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, che riprende gli obblighi previsti all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87, impone agli Stati membri di perseguire le infrazioni accertate. Detta disposizione precisa, al riguardo, che le azioni promosse devono essere idonee a privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dalle infrazioni o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni medesime, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo.

71 L’obbligo degli Stati membri di vegliare a che le infrazioni alla normativa comunitaria formino oggetto di sanzioni a carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo presenta un’importanza essenziale nel settore della pesca. Infatti, se le autorità competenti di uno Stato membro si astenessero sistematicamente dal perseguire i responsabili di tali infrazioni, ne risulterebbero pregiudicate sia la conservazione e la gestione delle risorse della pesca, sia l’applicazione uniforme della politica comune della pesca (v. citate sentenze 12 luglio 2005, Commissione/Francia, punto 69, e Commissione/Spagna, punto 39).

72 I regolamenti nn. 2241/87 e 2847/93 forniscono infatti indicazioni precise quanto al contenuto delle misure che debbono essere adottate dagli Stati membri e che debbono tendere all’accertamento della regolarità delle operazioni di pesca allo scopo di prevenire eventuali irregolarità e nel contempo di reprimerle. Tale obiettivo implica che le misure attuate debbano avere un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo (v. citate sentenze 12 luglio 2005, Commissione/Francia, punto 37, e Commissione/Spagna, punto 40).

73 Dai dati comunicati nell’allegato alla lettera del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 5 novembre 2001, n. 13544, e, segnatamente, dal rapporto del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto prodotto nell’allegato 27 al ricorso della Commissione emerge che, per quanto riguarda l’anno 2000, non erano praticamente mai state avviate azioni penali. Le stesse constatazioni risultano dagli allegati alla lettera del Ministero medesimo del 13 luglio 2006, prodotti nell’allegato 42 al ricorso della Commissione. Infatti, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006, le sanzioni inflitte sono state scarse e le ammende amministrative ammontano ad un importo di circa EUR 1 000. Il numero di sanzioni inflitte e l’esiguità dei loro importi rispetto ai benefici ricavati dalle violazioni non sono contestati dalla Repubblica italiana.

74 Per quanto attiene alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso, si deve, in primo luogo, rilevare che la Repubblica italiana non ha fornito dati quantitativi se non con riferimento agli anni 2005-2007. Tuttavia, tali dati attengono ad un periodo largamente successivo alla data di scadenza fissata nel parere motivato, ragion per cui non consentono di valutare se, nel periodo precedente tale data, le autorità italiane procedessero alla confisca di dette reti, in modo tale da dissuadere dal compimento di infrazioni della stessa natura.

75 In secondo luogo, anche qualora i dati prodotti dalla Repubblica italiana al punto 17 della propria controreplica potessero essere presi in considerazione, dai medesimi emergerebbe che, nel 2006, sono stati sequestrati 633 000 metri di reti, corrispondenti a 108 reti, e che, nel 2007, tali cifre ammontano rispettivamente a 697 000 metri e a 235 reti. Tali dati sembrano quindi confermare le affermazioni della Commissione secondo cui il quantitativo di metri di reti sequestrato non è di per sé significativo e corrisponde ad un numero di reti decisamente ridotto.

76 Da tali elementi emerge che la Repubblica italiana è venuta meno ai propri obblighi di avviare azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime. Ne consegue che il secondo addebito risulta fondato sotto tale profilo.

77 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni emerge che, non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93.

Sulle spese

78 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca, nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme

Imminente modifica Legge regionale MARCHE



La Regione Marche prepara una modifica
della Legge Regionale sulla caccia.


A pochi mesi dalle Elezioni Regionali la maggioranza di centro-sinistra e l'opposizione di destra preparano insieme un colpo micidiale alla fauna selvatica marchigiana.
La proposta al vaglio della III Commissione, che andrà presto in aula contiene norme che fanno rabbrividire sia dal punto di vista faunistico che giuridico. La proposta di modifica della legge è infatti in molti punti palesemente anti-costituzionale, violando il principio costituzionale di competenze esclusive dello Stato in tema di protezione ambientale a dettare standard minimi e uniformi ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione Italiana.

Con questa modifica si stravolgeranno le norme della Legge quadro sulla caccia, che se approvate costituirebbero un pericolosissimo precedente e porrebbero la Regione Marche fuori dal solco della Costituzione.

Queste le principali novità che cerca di introdurre la proposta di modifica:


La gestione della fauna viene divisa: alla Provincia la tutela della fauna e agli ATC è demandata la gestione della fauna cacciabile e dell'ambiente naturale nel territorio di caccia programmata.

Il territorio regionale soggetto a pianificazione faunistico-venatoria viene drasticamente ridotto, limitandosi a quello escluso da qualsiasi
infrastruttura di origine antropica. Si restringono enormemente (quasi del tutto) le zone di divieto di caccia.

Viene cancellato il concetto che le Oasi sono destinate al rifugio, alla
riproduzione e sosta della fauna selvatica.

Viene cancellato il divieto di esercizio venatorio nelle Oasi, nelle ZRC e
nei centri pubblici di riproduzione della fauna in violazione della Legge 157/92.

Viene data la possibilità agli ultrasessantacinquenni che scelgono l'opzione C di cacciare anche in opzione B.
Inoltre consente a tutti coloro che scelgono l'opzione B di cacciare anche
in appostamento temporaneo.

Vengono ampliati i periodi di caccia di molte specie, addirittura prevedendo
l'apertura il 01 settembre.

Vengono aboliti gli anelli inamovibili e vengono sostituiti con una
certificazione attestante la provenienza.

Di fatto si incentiva la cattura illegale degli uccelli da richiamo

Vengono sottratte risorse alle Provincie ed attribuite agli ATC.

vi chiedo quindi di dedicare qualche minuto per tentare di fermare tutti insieme questa nuova proposta di modifica della Legge Regionale 7/95 assolutamente peggiorativa e pericolosa in quanto altre RegionI potrebbero seguire l'esempio.

Qui sotto troverete il testo da inviare che vi proponiamo. Se volete potete aggiungere anche un vostro personale commento


Al Presidente della Giunta Regionale delle Marche
Al Presidente del Consiglio Regionale delle Marche
All'Assessore all'Agricoltura della Regione Marche
Ai Consiglieri Regionali delle Marche

Vista la Proposta di Legge n° 228/08, così come modificata dagli
emendamenti Ricci/Cesaroni, volevo comunicarLe la mia più totale contrarietà
a questa modifica della Legge Regionale 7/95.
Le modifiche proposte, se verranno introdotte, peggioreranno in maniera
considerevole lo status della fauna selvatica della Regione Marche.
In modo particolare ritengo estremamente negativa la proposta di
restringere il territorio sottoposto a pianificazione faunistico-venatoria,
la possibilità di cacciare
con due opzioni (B e C) per gli ultra-sessantacinquenni, l'abolizione degli
anelli di riconoscimento per i richiami vivi e sopratutto l'allungamento dei

periodi di caccia.
Le ricordo anche che ai sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione
Italiana è competenza esclusiva dello Stato dettare standard minimi e
uniformi in materia di conservazione della natura e protezione ambientale.
Tale principio viene palesemente violato con la Proposta di Legge in
questione, realizzata in maniera bipartisan da consiglieri di
centro-sinistra e di destra.
Le rivolgo quindi questo appello a non sostenere questa proposta e a
respingere ogni tentitivo di stravolgere una Legge Regionale equilibrata, in

favore di una
esigua minoranza di cittadini-cacciatori, contro il sentimento comune di
rispetto per gli animali e la fauna selvatica.

Cordialmente
Nome Cognome



Copiate il testo in un nuovo messaggio di posta elettronica, aggiungendo il
vostro nome (magari anche più di uno !!)
e se volete anche la vostra città.

Scrivete l'oggetto, una cosa come NO ALLA MODIFICA DELLA L.R. 7/95 oppure
FERMIAMO LA PROPOSTA RICCI/CESARONI

Copiate gli indirizzi qui sotto nei destinatari della mail e spedite !!!!

Poi prendete questa mail e giratela a tutti quelli che credete possano
esserci di aiuto e dite loro di fare la stessa cosa !!!


Marco Mancinelli - WWF Ancona
Danilo Baldini - Lega Abolizione Caccia Marche
Giovanni Cifaldi - Lega Anti Vivisezione - Ancona


Indirizzi a cui inviare la mail

segreteria.presidenza@regione.marche.it
paolo.petrini@regione.marche.it
marco.amagliani@regione.marche.it
presidente@consiglio.marche.it
michele.altomeni@consiglio.marche.it
fabio.badiali@consiglio.marche.it
stefania.benatti@consiglio.marche.it
massimo.binci@consiglio.marche.it
giuliano.brandoni@consiglio.marche.it
antonio.disidoro@consiglio.marche.it
sara.giannini@consiglio.marche.it
katia.mammoli@consiglio.marche.it
adriana.mollaroli@consiglio.marche.it
rosalba.ortenzi@consiglio.marche.it
cesare.procaccini@regione.marche.it
franco.sordoni@consiglio.marche.it
g.spacca@regione.marche.it

Mangiar CARNE brucia la TERRA-i dati


Miliardi di animali ogni anno nel mondo vengono barbaramente uccisi.

Il vegetarismo, quindi, diviene oggi sempre più un fattore strategico altrochè per la salvezza degli animali, anche per il riscatto sociale e la liberazione dalla fame e dalla guerra di tutti gli sfruttati del terzo mondo!

Il 70% delle terre coltivate viene usato per nutrire gli animali da allevamento.

Il 50% dell´acqua potabile del pianeta viene usata negli allevamenti.

1/3 del petrolio e delle materie prime viene bruciato nel ciclo (agricolo- allevamento-lavorazione-distribuzione) della carne.

Il 50% dell´inquinamento e dell´effetto serra è causato dalle deiezioni degli allevamenti.

Per produrre 1 kg di carne vengono usati dai 10 ai 25 kg di alimenti vegetali che potrebbero sfamare miliardi di esseri umani.

Oltre il 90% dei cereali e della soia viene rubato agli sfruttati del terzo mondo e trasferito negli allevamenti di USA, Canada, Europa e Giappone per essere trasformato in carne per gli occidentali.

Per questo gli sfruttati africani, asiatici e centro-sud americani da decenni soffrono e muoiono per denutrizione al ritmo di 40.000 persone al giorno mentre gli occidentali soffrono e muoiono per le malattie causate dal mangiar carne.

Tutto questo produce enormi profitti per le multinazionali alimentari e chimico-farmaceutiche e rafforza il loro potere e quello degli apparati di potere degli stati al loro servizio.


QUESTA ETERNA TREBLINKA DEGLI ANIMALI accelera la fine delle risorse del pianeta, il suo inquinamento irreversibile, lo sfruttamento degli uomini, la loro malattia e morte.

Un miliardo e mezzo di sfruttati umani rischia ora la morte per fame, ma essi non restano inerti e si ribellano con rivolte per il pane che si estendono nei vari continenti.

TU PERÒ PUOI CONTRIBUIRE SUBITO A FERMARE QUESTO MASSACRO DI ANIMALI E DI UOMINI E DARE LA TUA SOLIDARIETA´ A CHI SI RIBELLA!

TU PERÒ PUOI COLPIRE SUBITO GLI INTERESSI DELLE MULTINAZIONALI!

Non essere più complice di chi persegue questa politica di sfruttamento e di morte degli animali, degli uomini e del pianeta!

LA TUA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALISTA COMINCIA A TAVOLA!

RIFIUTA DI CIBARTI DI MORTE,

PER UN NUOVO INTERNAZIONALISMO DIVENTA VEGETARIANO!

BRASILE/ DEFORESTAZIONE:SOIA E BOVINI I NEMICI DELL'AMAZZONIA



3 giugno 2008

BRASILE/ DEFORESTAZIONE:

SOIA E BOVINI I NEMICI DELL'AMAZZONIA

Il neo ministro dell’ambiente Carlos Minc: la situazione può peggiorare

Sono stati abbattuti 1123 Km quadrati di foresta, tenendo conto che il sistema non rileva le azioni in aree sotto i 25 ettari. Dunque, le aree rase al suolo potrebbero essere ancora di più. Per il nuovo ministro dell'Ambiente Carlos Minc i numeri divulgati dall'Inpe "sono preoccupanti ed esigono risposte immediate. Non dobbiamo piangere sul latte versato - ha detto Minc, che è entrato nell'esecutivo al posto di Marina Silva, dimissionaria lo scorso maggio - ma bisogna agire con fatti concreti. I prossimi mesi, giugno, luglio e agosto sono quelli in cui tradizionalmente si disbosca maggiormente, perché si prepara il terreno per la coltivazione e il pascolo. Saranno il nostro banco di prova".

I nemici della foresta si chiamano infatti allevamento di bovini e coltivazione di soia. Lo stato del Mato Grosso detiene il record di deforestazione. Dei 1123 Km quadrati devastati in aprile, il 70% sono in Mato Grosso, lo stato governato da Blairo Maggi, che oltre ad essere il governatore è il maggior produttore di soia del Brasile e uno dei maggiori dal mondo. Maggi ieri ha minimizzato i numeri dell'Inpe: secondo il governatore il Mato Grosso "è semplicemente più esposto ai satelliti".

Il neo-ministro ha annunciato, sempre ieri, che la Polizia Federale inizierà una serie di sequestri di bestiame che pascola zone disboscate illegalmente. "Prenderemo i buoi pirata" ha minacciato il ministro. Dalla fine di maggio sono cominciati i sequestri di coltivazioni in zone illegali.

Impatto ambientale del consumo di carne


fonte: APCOM, 3 giugno 2008

I dati sull’impatto ambientale del consumo di carne parlano da soli. Di fronte all’evidenza non si può più far finta di non vedere. Anche la FAO comincia a parlare chiaro…:

La FAO: la bistecca fa male alla Terra

http://www.unaltralimentazione.org/html/index.php

Pubblichiamo un commento del New York Times (tradotto in Italiano da Repubblica) sullo studio del 2006 della FAO sull'impatto dei consumi di carne sul pianeta, intitolato "La lunga ombra del bestiame".

La produzione di bestiame mondiale è responsabile di più gas dell'intero sistema dei trasporti
Il consumo di carne raddoppierà entro il 2050, se non varieremo l'alimentazione


La bistecca fa male alla Terra, l'effetto serra ci cambia la dieta

di MARK BITTMAN

NEW YORK - Un cambiamento epocale nell'uso di una risorsa che si dà per scontata potrebbe essere imminente. No, non si tratta di petrolio, ma di carne. Come il petrolio anche la carne è soggetta a una domanda crescente a mano a mano che le nazioni diventano più ricche e ciò ne fa salire il prezzo. E come il petrolio anche la carne è qualcosa che tutti sono incoraggiati a consumare in quantità maggiori. La domanda globale di carne si è letteralmente impennata negli ultimi anni, sulla scia di un benessere crescente, alimentata dal proliferare di vaste operazioni di alimentazione forzata di animali d'allevamento...

Queste vere e proprie catene di montaggio della carne, che partono dalle fattorie, consumano quantità smisurate di energia, inquinano l'acqua e i pozzi, generano significative quantità di gas serra, e richiedono sempre più montagne di mais, soia e altri cereali, un fatto che ha portato alla distruzione di vaste aree delle foreste pluviali tropicali.

Proprio questa settimana il presidente brasiliano ha annunciato provvedimenti di emergenza per fermare gli incendi controllati e l'abbattimento delle foreste pluviali del Paese per creare nuovi pascoli e aree di coltura. Negli ultimi cinque mesi soltanto, ha fatto sapere il governo, sono andate perse 1.250 miglia quadrate di foreste.

Nel 1961 il fabbisogno complessivo di carne nel mondo era di 71 milioni di tonnellate. Nel 2007 si stima che sia arrivato a 284 milioni di tonnellate. Il consumo pro-capite di carne è più che raddoppiato in questo arco di tempo. Nel mondo in via di sviluppo è cresciuto del doppio, ed è raddoppiato in venti anni. Il consumo mondiale di carne si prevede che sia destinato a raddoppiare entro il 2050.

Produrre carne comporta il consumo di tali e tante risorse che è una vera impresa citarle tutte. Ma si consideri: secondo la Fao, la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite, le terre destinate all'allevamento del bestiame costituiscono il 30 per cento delle terre emerse non ricoperte da ghiacci del pianeta. Questa stessa produzione di bestiame è responsabile di un quinto delle emissioni di gas serra della Terra, più di quelle emesse dai trasporti nel loro complesso. Uno studio dello scorso anno dell'Istituto nazionale di scienze dell'allevamento in Giappone ha stimato che ogni taglio di carne di manzo da un chilogrammo è responsabile dell'equivalente in termini di diossido di carbonio alle emissioni di una vettura media europea ogni 250 chilometri circa e brucia l'energia sufficiente a tenere accesa per 20 giorni una lampadina da 100 watt.

Cereali, carne e perfino energia sono collegati tra loro in un rapporto di interdipendenza che potrebbe avere spaventose conseguenze. Benché circa 800 milioni di persone di questo pianeta soffrano la fame o siano affette da malnutrizione, la maggior parte dei raccolti di mais e soia coltivati finiscono a nutrire bestiame, maiali e galline. Ciò avviene malgrado un'implicita inefficienza: per produrre le stesse calorie assimilate tramite il consumo di carni di bestiame allevato e il consumo diretto di cereali occorrono da due a cinque volte più cereali, secondo quanto afferma Rosamond Naylor, docente associato di economia all'università di Stanford. Nel caso di bestiame allevato negli Stati Uniti con cereali questo dato deve essere moltiplicato ancora per dieci. Negli Stati Uniti l'agricoltura praticata per soddisfare la domanda di carne contribuisce, secondo l'Agenzia per la Protezione Ambientale, a circa tre quarti dei problemi di qualità dell'acqua che caratterizzano i fiumi e i corsi d'acqua della nazione.

Considerato poi che lo stomaco delle bestie allevate è fatto per digerire erba e non cereali il bestiame allevato a livello industriale prospera soltanto nel senso che acquista peso rapidamente. Questo regime alimentare ha reso possibile allontanare il bestiame dal suo ambiente naturale e incoraggiare l'efficienza dell'allevamento e della macellazione in serie. È tuttavia una prassi che provoca problemi di salute tali che la somministrazione di antibiotici è da ritenersi usuale, al punto da dar vita a batteri resistenti agli antibiotici.

Questi animali nutriti a cereali contribuiscono oltre tutto a una serie di problemi sanitari tra gli abitanti più benestanti del pianeta, quali malattie cardiache, alcuni tipi di cancro e diabete. La tesi secondo cui la carne fornisce un apporto proteico è giusta, purché le quantità siano limitate. L'esortazione americana quotidiana a consumare carne - del tipo "guai a te se non mangi la bistecca" - è negativa.

Che cosa si può fare? Risposte facili non ce ne sono. Tanto per cominciare occorre una migliore gestione degli sprechi. A ciò contribuirebbe l'abolizione dei sussidi: le Nazioni Unite stimano che questi costituiscono il 31 per cento dei guadagni globali dell'agricoltura. Anche migliori tecniche di allevamento sarebbero utili. Mark W. Rosengrant, direttore della tecnologia ambientale e della produzione presso l'istituto senza fini di lucro International Food Policy Research afferma: "Occorrerebbe investire nell'allevamento e nella gestione del bestiame, per ridurre la filiera necessaria a produrre un livello qualsiasi di carne".

E poi c'è la tecnologia. Israele e Corea sono tra i Paesi che stanno sperimentando tecniche di sfruttamento delle scorie e del letame animale per generare elettricità. Altro suggerimento utile potrebbe essere quello di far ritorno al pascolo. Mentre la domanda interna di carne è ormai uguale ovunque, la produzione industriale di bestiame è cresciuta due volte più rapidamente dei metodi di base di sfruttamento delle terre, secondo quanto risulta alle Nazioni Unite. I prezzi reali di carne bovina, di maiali e pollame si sono mantenuti costanti, forse sono perfino scesi, per 40 anni e più, anche se ora stiamo assistendo a un loro aumento di prezzo. Se i prezzi elevati non costringono a cambiare le abitudini alimentari, forse sarà tutto l'insieme - la combinazione di deforestazione, inquinamento, cambiamento del clima, carestia, malattie cardiache e crudeltà sugli animali - a incoraggiare gradualmente qualcosa di molto semplice: mangiare più vegetali e meno animali.
Nel suo studio del 2006 sull'impatto dei consumi di carne sul pianeta, intitolato "La lunga ombra del bestiame", la Fao dice: "È motivo di ottimismo prendere atto che la domanda di prodotti animali e di servizi ambientali sono in conflitto tra loro ma possono essere riconciliate". Gli americani, in effetti, stanno comprando sempre più prodotti eco-compatibili, scegliendo carni, uova e latticini prodotti con metodi sostenibili. Il numero dei prodotti e dei mercati di questo tipo si è più che raddoppiato negli ultimi 10 anni.

Se gli attuali trend continueranno, invece, la carne diventerà una minaccia più che un'abitudine. Non diventerebbe del tutto insolito consumare carne, ma proprio come i SUV dovranno cedere il passo a vetture ibride, l'epoca dei 220 grammi al giorno di carne sarà giunta alla fine. Forse, dopotutto, non sarà poi così drammatico.

Fonte: (copyright The New York Times) (Traduzione di Anna Bissanti per Repubblica, 28 gennaio 2008)
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E LA REGIONE VENETO APPROVA SUBITO ALTRA DELIBERA!!!


30.10.2009
La REGIONE VENETO PARTORISCE ALTRA DELIBERA X CACCIARE IN VENETO!!!!!!!! IL TAR VENETO ACCOGLIE I DUE RICORSI LAC E SOSPENDE LA CACCIA IN VENETO X GRAVI VIZI DI MERITO DEL CALENDARIO VENATORIO E PER LE DEROGHE...

E COSA FANNO LORO in una seduta d'emergenza?
DONAZZAN: "APPROVATA NUOVA DELIBERA SU CACCIA IN DEROGA"

Comunicato stampa n° 1986 del 30/10/2009

(AVN) Venezia, 30 ottobre 2009

La Giunta regionale del Veneto si è riunita questo pomeriggio in seduta straordinaria per emanare un nuovo provvedimento sulla caccia in deroga che sostituisce il precedente, bloccato da un’improvvisa sospensiva dal Tar del Veneto.

"Per evitare - ha spiegato l'Assessore regionale alla Caccia, Elena Donazzan – un gravissimo pericolo per i nostri cacciatori, la Giunta ha deciso di revocare la precedente delibera e di approvarne una nuova, accogliendo alcuni rilievi del Tar".

"Da domani (sabato n.d.r.) quindi - ha aggiunto Donazzan - si potranno cacciare il fringuello, la pispola e lo storno (per un massimo di 20 capi al giorno), e la peppola (per un massimo di 5 capi al giorno). Cambia il quantitativo massimo di prelievo regionale, e viene ridotto fino al rispetto dell'uno per cento della mortalità annua della specie in oggetto".

"La decisione di riunire la Giunta in seduta straordinaria è dovuta al fatto che il Tar ha deciso un provvedimento così grave per i diritti di una parte dei cittadini del Veneto, senza il contradditorio della Nostra avvocatura".

A cura dell'Ufficio Stampa della Regione Veneto
http://www.regione.veneto.it/Notizie/Comunicati%20Stampa/Ottobre%202009/1986.htm

venerdì 30 ottobre 2009

il TAR abbatte la Regione Veneto sulla caccia

29/10/2009
Il TAR con una doppietta di provvedimenti abbatte la regione Veneto sulla caccia
CACCIA: un doppio siluro del TAR si abbatte sulla regione Veneto.
Terremoto nel mondo della caccia: il TAR del Veneto con due distinti provvedimenti sospende la caccia in deroga e il calendario venatorio 2009/2010.
Andrea Zanoni presidente della LAC del Veneto chiede le dimissioni dell’assessore regionale all’Istruzione e Caccia, la cacciatrice vicentina Elena Donazzan.

Oggi il TAR del Veneto con due distinti provvedimenti ha accolto i due ricorsi della LAC – Lega Abolizione Caccia, rappresentata dagli avvocati Claudio Linzola del foro di Milano, Maria Caburazzi del foro di Venezia e Massimo Rizzato del foro di Vicenza, contro la caccia in deroga agli uccelli protetti e contro il calendario venatorio stagione 2009/2010.
Il primo ricorso, sospeso con ordinanza n.971/2009 del 29/10/2009 – N.R.G.2035/2009 (Cf. comunicazione del TAR in allegato), riguardava il calendario venatorio - stagione 2009/2010, approvato con delibera 2141 del 14/07/2009, in particolare veniva contestato: 1) l’uso del piccione domestico quale richiamo vivo per la caccia ai Colombacci che per legge è vietato; 2) la deturpante caccia vagante con i cani anche a dicembre e gennaio quando i terreni sono ghiacciati e gli uccelli selvatici sono allo stremo con picchi di mortalità che fanno rabbrividire; 3) la possibilità di immissione della Pernice Rossa specie alloctona ed estranea alla fauna locale che potrebbe anche ibridarsi a specie autoctone con un conseguente inquinamento genetico; 4) la caccia a specie sempre più rare come il Combattente, un uccello molto appariscente che vive nelle lagune e la Moretta, una piccolissima e bellissima anatra selvatica.
Il secondo ricorso presentato oggi al presidente del Tribunale del TAR in “inaudita altera parte”, sospeso con Decreto Cautelare dello stesso presidente, n.986/2009 di oggi 29/10/2009- N.R.G. 2106/2009 (Cf. comunicazione del TAR in allegato), riguardava la cosiddetta caccia in deroga per la stagione 2009/2010, approvata con delibera 2993 del 6/10/2009, dove veniva contestata la caccia di Storno, Pispola, Fringuello e Peppola, tutte specie protette dalla legge statale e dalla Direttiva Comunitaria n. 409/79/CE, l’abbattimento delle quali è considerato reato dalla legge sulla caccia.
Nel ricorso veniva evidenziata l’illegittimità del provvedimento in quanto privo del parere dell’ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, che con una circolare del 29/09/09, aveva sottolineato che la caccia in deroga voluta dalla regione Veneto non rispetta la legge per i seguenti motivi: i quantitativi abbattibili non sono stati calcolati secondo la procedura di legge, non vi sono i necessari controlli, non viene prevista la registrazione immediata degli uccelli uccisi, i cacciatori non sono stati sottoposti a specifici test, le specie oggetto di caccia in deroga sono in uno stato di conservazione sfavorevole, non sono state seguite le procedure previste dalla conferenza Stato/Regioni del 2004 su questa materia.

“Questa è una giornata memorabile – ha dichiarato Andrea Zanoni presidente della LAC del Veneto – oggi abbiamo ripristinato un minimo di legalità nella caccia in Veneto attualmente gestita prevalentemente a scopo elettorale e propagandistico, nel prossimo weekend i cacciatori finalmente dovranno rinunciare alle regalie della regione.
Oggi è stato finalmente demolito anche il “Lodo Galan” che consentiva l’immunità dei cacciatori veneti dal reato di bracconaggio previsto in tutto il resto d’Italia nei confronti di chi uccide specie protette.
Questo doppio siluro del TAR del Veneto contro la Giunta Galan ci consente di chiedere senza indugio le immediate dimissioni dell’assessore all’istruzione e caccia Elena Donazzan.”

giovedì 29 ottobre 2009

LAC ricorre al TAR contro la caccia in Veneto

Comunicato del 28 ottobre 2009

La LAC ricorre al TAR contro la caccia in Veneto.


Richiami vivi vietati dalla legge, caccia con i cani anche nei terreni ghiacciati, immissioni di specie “aliene” e caccia ad uccelli in via di estinzione sono i quattro motivi di ricorso.

Oggi 28 ottobre 2009 la seconda sezione del TAR del Veneto esaminerà il ricorso della LAC - Lega Abolizione Caccia, rappresentata dall’avvocato Massimo Rizzato del foro di Vicenza, contro il calendario venatorio della regione Veneto 2009/2010.

I motivi del ricorso riguardano l’uso del piccione domestico quale richiamo vivo per la caccia ai Colombacci che per legge è vietato; la deturpante caccia vagante con i cani anche a dicembre e gennaio quando i terreni sono ghiacciati e gli uccelli selvatici sono allo stremo con picchi di mortalità che fanno rabbrividire; la possibilità di immissione della Pernice Rossa specie alloctona ed estranea alla fauna locale che potrebbe anche ibridarsi a specie autoctone con un conseguente inquinamento genetico; caccia a specie sempre più rare come il Combattente, un uccello molto appariscente che vive nelle lagune e la Moretta, una piccolissima e bellissima anatra selvatica.

L’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Ricerca e Difesa Ambientale, nel dare il parere al calendario venatorio del Veneto aveva dato parere negativo alla caccia vagante in inverno, alla caccia a Combattente e Moretta e alla liberazione di soggetti di Pernice Rossa.

“Speriamo che i giudici del TAR – ha dichiarato Andrea Zanoni presidente della LAC del Veneto – accolgano il nostro ricorso in modo da preservare una parte molto importante di fauna selvatica, patrimonio naturale di noi tutti cittadini, oggi considerata troppo spesso oggetto di campagna elettorale dai soliti noti. Il nostro ricorso di basa su fondamenta scientifiche solide ed inconfutabili dato che anche l’autorevole istituto statale al ISPRA ha dato parere negativo a queste attività di caccia. Ora non ci resta che attendere il responso che dovremmo conoscere già da giovedì o venerdì prossimo.”

Lega per l’Abolizione della Caccia - Sezione del Veneto - Via Cadore 15/C int. 1 - 31100 Treviso - Tel. 347/9385856 e-mail: lacveneto@ecorete.it Web: www.lacveneto.it

Riconosciuta dal Ministero dell'Ambiente ex Legge 8 luglio 1986, n. 349 come associazione ambientalista.

LATTE UMANO, LATTE DI MUCCA E ALLATTAMENTO AL SENO



LATTE UMANO, LATTE DI MUCCA E ALLATTAMENTO AL SENO

Franco Libero Manco

VEGETARISMO: EVOLUZIONE SOCIALE


Ad ogni mammifero è destinato un latte specifico e le componenti nutrizionali del latte materno indicano chiaramente a quale specie è destinato e la giusta alimentazione che dovrebbe adottare ogni mammifero adulto. Vi è una correlazione tra ritmi biologici di crescita di alcuni mammiferi e la composizione del latte corrispettivo. Infatti il latte è un alimento perfetto e completo soltanto per l’organismo in crescita della stessa specie. Il piccolo umano per mezzo del suo latte specie specifico raddoppia (indicativamente) il suo peso corporeo in 175 giorni, la mucca in 60, la capra in 10 giorni, il ratto in 6 giorni. Si intende porre in confronto le componenti nutrizionali del latte materno della donna con quelle della mucca, troppo spesso considerate idonee all’allattamento del cucciolo uomo. Il dato più importante del latte umano, se confrontato con il latte di mucca o con latti di altra natura, sta nella composizione proteica. Nel colostro è presente la lattoglobulina in notevole quantità, costituita in massima parte da anticorpi contro numerose malattie a protezione del bambino nei primi mesi di vita nei quali il sistema immunitario non è ancora maturo. Inoltre contiene utili fattori contro infezioni e contro eventuali allergie. Un’altra caratteristica del latte materno umano è la variabilità della sua composizione nel tempo. Nei primi 4-5 giorni dopo il parto si ha la produzione di colostro ricco di proteine e minerali, ma povero di grassi, carboidrati, vitamine e calorie. Dopo i primi giorni di allattamento il colostro si trasforma in latte di transizione, di aspetto grasso e cremoso e di composizione intermedia. Solo al decimo giorno comincia la produzione del latte materno vero e proprio, cioè del latte “maturo” meno ricco di proteine, minerali, vitamine A ed E, ma più ricco in grassi, zucchero, e vitamine del complesso B. La composizione del latte materno varia anche col passare dei mesi a causa della diminuizione delle proteine. Variazioni si osservano anche durante la stessa giornata: al mattino il latte materno è più ricco di grassi. Il lattante alimentato artificialmente, con latti trattati, probabilmente si troverà a pagare un prezzo metabolico elevato per crescere, se viene alimentato con latte diverso da quello materno cui la natura aveva stabilito. Infatti se si confronta il latte materno con latti “artificiali”, contenenti per es. proteine della soia (meno costose e più vantaggiose per l’industria), il lattante mostrerà insufficienza della risposta immunitaria sia alle comuni infezioni sia alle vaccinazioni. I latti adattati non riproducono mai la composizione del latte umano. Le componenti nutrizionali dei latti adattati dovrebbero essere riportate con precisione sulle confezioni in polvere, segnalando anche la composizione dei singoli aminoacidi e di acidi grassi. Per il neonato non dovrebbero essere utilizzate formule arricchite con Fe in quanto potrebbero facilitare infezioni intestinali. Inoltre c’è da considerare che il latte, per evitare esposizioni alla luce, è fatto per passare direttamente dalla mammella nello stomaco del lattante che, per ossigenazione, gli fa perdere la vit C. (Tutte le creature che mangiano latte dovrebbero succhiarlo, dice il dr. Page).

Con la pastorizzazione poi le vitamine vengono distrutte; calcio e fosforo vengono resi inorganici e quindi inassimilabili; il valore della proteine viene abbattuto; si riducono i sali minerali resi insolubili e quindi inutilizzabili, il valore alimentare risulta gravemente ridotto; gli zuccheri caramellano, le proteine coagulano parzialmente; la sterilizzazione poi abbassa totalmente il valore nutritivo.


COMPOSIZIONE A CONFRONTO TRA IL LATTE UMANO MATURO E IL LATTE DI MUCCA

Latte umano latte di mucca



Proteine: 1 3,5

Caseina: 20 82

Proteine del siero: 80 18

Azoto non proteico: 23 6



Aminoacidi (mg/100 ml):


istidina: 22 95

isoleucina: 68 228

leucina: 100 350

lisina: 73 277

metionina: 25 88

fenilalanina: 48 172

treonina: 50 164

triptofano: 18 49

valina: 70 245

arginina: 45 129

alanina: 35 75

acido ispanico: 116 166

Cistina: 22 32

Acido glutammico: 230 680

Glicina: 0 11

Prolina: 80 250

Senna: 69 160

Tiroxina: 61 ----



Lattosio (g/100 ml): 6,4 5

Lipidi: 4 4

Acido Linoleico: 7 10

Acido Oleico: 36 28

Acido Linolenico: 1 ----



Calcio (mg/l): 340 1170

Fosforo (mg/l): 140 920

Sodio (mEg/l): 7 22

Potassio (mEg/l): 13 35

Cloro (mEg/l): 11 29

Magnesio (mg/l): 40 120

Zolfo (mg/l): 140 300

Cromo (ug/l): ---- 10

Manganese (ug/l): 10 30

Rame (ug/l): 400 300

Zinco (mg/l): 4 4

Selenio (ug/l): 13-50 5-50

Ferro (mg/l): 0-5 0-5



Vitamina A: 1900 1500

Tiamina (ug/l): 160 440

Riboflavina (ug/l): 360 1750

Niacina (ug/l): 100 640

Ac. Pantot. (mg/l): 1,8 3,5

Acido Folico (ug/l): 52 55

Vit. B12 (ug/l): 0,3 4

Vitamina C (mg/l): 43 11-21

Vitamina D (U.I./l): 22 14-33

Vitamina E 8mg/l): 1,8 0,4

Vitamina K 8Ug/l): 15 60

Come si può vedere tra il latte umano e quello di mucca vi sono delle differenze di composizione notevoli. Da notare che le proteine e il calcio nel latte di mucca sono circa il triplo rispetto il latte umano e il fosforo e il sodio sono circa 4 volte maggiori. L’essere umano è l’animale con la crescita più lenta per raggiungere la maturità e sviluppare una dentatura adatta a masticare cibi solidi, di conseguenza il periodo di allattamento è più lungo di tutti. Da esperimenti risulta che quando a ratti viene somministrato latte pastorizzato a 63° si verifica mortalità precoce e riduzione della vitalità. La pastorizzazione distrugge il 38% del complesso B e almeno il 25% della vitamina C. Ci sono stati casi in cui i lattanti contrassero lo scorbutio a causa dell’utilizzo del latte pastorizzato, dovuto alla distruzione della vit C. La sterilizzazione delle sostanze alimentari abbassa il loro potere antiscorbutico quanto più è alta la temperatura. Carne e latte inscatolati sono inevitabilmente scorbutogenici. Risulta tra l’altro che i bambini nutriti con latte pastorizzato hanno meno resistenza alle infezioni. E’ stato verificato che la crescita in altezza dei bambini nutriti con latte di mucca pastorizzato era inferiore ai bambini nutriti con lo stesso latte crudo. Nel 1926 McCollum in una conferenza dichiarò che da quando nella città di Baltimora aveva emesso l’ordinanza che rendeva obbligatoria la pastorizzazione di tutto il latte, i casi di rachitismo aumentarono del 100% nella città. Il “Lancet” di Londra riportò alcuni esperimenti fatti da un medico inglese che nutrì un certo numero di gattini e cagnolini con latte pastorizzato. Essi morirono, mentre i gattini e cagnolini nutriti con latte crudo prosperavano bene. Il latte pastorizzato produce: costipazione, scorbuto, rachitismo, scrofolosi e malattie analoghe (da “La scienza e la raffinata arte del vivere e della nutrizione”, di H. M. Schelton e altri autori). Il latte di una specie, anche se può essere usato dal piccolo di un’altra, non è adatto alle sue necessità nutrizionali. Le grandi differenze nelle composizioni chimiche del latte delle varie specie, che riflettono anche differenze fisiche, sono evidenziate nell’elenco che segue.


Composizione chimica media in percentuali:

proteine grassi carboidrati minerali

Donna: 1,60 3,95 6,25 0,45

Mucca: 3,55 3,70 4,88 0,71

Cagna: 11,20 9,60 3,10 1,35

Maiale: 5,90 6,90 3,80 1,10

Pecora: 6,50 6,90 4,90 0,90

Capra: 4,30 4,50 4,40 0,80

Cavalla: 1,30 1,20 5,70 0,41

Coniglia: 15,50 10,50 2,00 2,06

Bufala: 4,40 7,10 4,70 0,85

Si può notare come il quantitativo proteico più alto, quello della coniglia 15,50, corrisponda alla crescita più rapida dell’animale. In linea di massima il latte umano assomiglia al latte della mucca ma differisce in molti aspetti particolari: è più dolce e non ha odore, mentre il latte della mucca contiene troppa caseina e l’albumina è insufficiente per il piccolo umano; tra l’altro manca anche il lattosio e il contenuto degli aminoacidi delle sue proteine è differente. Il cucciolo d’uomo ha una crescita molto lenta: alla nascita il suo cervello è più grande di qualunque altro animale e il suo tasso di crescita è maggiore. Il latte umano non solo è il più digeribile: in esso si trovano residui di lecitina che serve per la costruzione del cervello umano. I minerali del latte di mucca non sono prontamente assimilati dal piccolo umano, di conseguenza un terzo degli elementi minerali vengono espulsi con le feci. I bambini nutriti al seno sono più intelligenti di quelli nutriti con latte artificiale e quelli nutriti con il biberon sono più nevrotici ed hanno più malattie dell’infanzia. Alcune donne smettono di allattare il loro bambino quando non hanno latte, mentre se persistessero per pochi giorni il latte arriverebbe. La quantità può essere esigua nei primi tempi e aumentare successivamente. E’ errato considerare il ritorno delle mestruazioni come motivo di svezzamento; nemmeno una leggera o breve malattia dovrebbe indurre la madre a svezzare il proprio bambino, né un’altra gravidanza dovrebbe provocare l’immediato svezzamento. In ogni modo, per la crescita e lo sviluppo, il latte di un animale funziona meglio del latte di soia o di altri tipi di latti artificiali. Inoltre lo zucchero non dovrebbe mai essere aggiungo al latte, perché tende a produrre fermentazione. Al bambino si dovrebbe dare tutto lo zucchero di cui ha bisogno solo attraverso i succhi di frutta biologici al naturale. La migliore fonte di zuccheri per il bambino si trova nell’uva.

Franco Libero Manco

Associazione Vegetariana Animalista - via Cesena 14 Roma 00182 tel. 06 7022863 - 3339633050 - www.vegetariani-roma.it - www.universalismo.it