Lo studio condotto dal Britih Trust for Ornithology (BTO) si è concentrato su specie come il Ciuffolotto (Pyrrhula pyrrhula) e lo Zigolo giallo (Emberiza citrinella) combinando le osservazioni in oltre 200 siti per il periodo 1967-2000 con quelle di oltre 2.000 volontari che hanno monitorato i siti nel periodo 1995-2005.
Benché sia ampiamente riconosciuto che, in alcune situazioni, una presenza significativa di predatori che si nutrono alle spese di uova, nidiacei e adulti abbia un effetto sull'abbondanza della specie vittima, non esisteva ad oggi alcun dato scientifico significativo che tale effetto negativo fosse diffuso.
In questo studio, i ricercatori hanno comparato l'evoluzione del numero di prede e predatori su un arvo temporale di 40 anni per verificare l'esistenza di dinamiche correlate. Si tratta dello studio più sofisticato, sul più lungo periodo e la scala più ampia mai intrapreso su questo specifico tema. Le specie predatrici analizzate sono Poiana (Buteo buteo), Sparviere (Accipiter nisus) e Gheppio (Falco tinnunculus) che predano giovani e adulti. Picchio rosso maggiore (Dendrocopos major), Gazza (Pica pica), Ghiandaia (Garrulus glandarius), Cornacchia (Corvus corone) e Scoiattolo grigio (Sciurus carolinensis) sono i predatori di nidi presi in considerazione. Per lo scoiattolo sono disponibili dati solo per il periodo 1995-2005.
Per 22 delle 29 specie prede potenziali prese in considerazione si è rilevato che non esiste alcuna correlazione statistica significativa tra l'aumento della popolazione di predatori e la diminuzione della popolazione di prede. Solo l'aumento di tre specie di predatori (sparviere, gheppio e scoiattolo grigio ) ha mostrato una qualche forma di correlazione con la diminuzione di alcune popolazioni di prede.
Tra le relazioni significative tra aumento dei predatori e diminuzione delle specie, quella che sembra evidenziare il legame più forte è quella l'aumento degli sparvieri nel periodo 1967- 2000 e il corrispondente declino di Ciuffolotti, Passera mattugia (Passer montanus) and Migliarino di palude (Emberiza schoeniclus).
Una relazione che è stata confermata è quella positiva tra la consistenza delle popolazioni di prede e quelle di predatori: quando le prime aumentano, le secondo seguono. Questo è particolarmente vero nel caso dei predatori di nidi autoctoni (Picchio rosso maggiore, gazza, ghiandaia, cornacchia). Questo studio, condotta per tutta la Gran Bretagna, scagiona questi predatori dal sospetto di essere i principali responsabili del declino di alcune specie, ma evidentemente non esclude possibili effetti negativi significativi a livello locale.
Altri studi hanno evidenziato che nello stesso periodo di tempo la consistenza delle popolazioni di uccelli canori è stata significativamente influenzata da altri fattori, quali le modifiche alle modalità di conduzione delle terre agricole e delle foreste.
La ricerca, di Stuart Newson (BTO), Eric Rexstad (University of St Andrews), Stephen Baillie (BTO), Stephen Buckland (University of St Andrews) e Nicholas Aebischer (Game and Wildlife Conservation Trust) è stata pubblicata col titolo "Population changes of avian predators and grey squirrels in England: is there evidence for an impact on avian prey populations?" sul British Ecological Society's Journal of Applied Ecology.
Una ricerca più specifica condotta in Scozia sui Corvi (Corvus frugilegus) è giunta a conclusioni simili. Non possono essere loro gli imputati del calo della popolazione di alcuni limicoli (Pavoncella, Piovanello pancianera, Piviere dorato, Beccaccino e Chiurlo) i cui numeri sono drammaticamente calati – in certi casi anche del 50% - negli ultimi venticinque anni, proprio mentre si assisteva a un recupero in grande stile dei corvi.
Questo studio è stato pubblicato nel febbraio 2010 dalla Royal Society for the Protection of Birds (RSPB) e dal Centre for Environmental Sustainability (ACES) della University of Aberdeen. Un po' di evidenza scientifica a fronte di cedenze, miti e leggende che da sempre circondano i corvidi, giustificati dalla loro straordinaria intelligenza nel mondo dei pennuti.
Aumento dei corvi, il fatto che siano dei predatori di nidi, la loro pessima reputazione e il calo di alcune popolazioni di limicoli ha portato molti a trarne l'immediata conclusione che il calo di questi ultimi non poteva che essere causato dalle prime e che quindi fossero necessari interventi speciali per “sfoltirne” la popolazione. Secondo uno schema tanto noto quanto fasullo, i cacciatori si sono immediatamente candidati a “ribilanciare” gli ecosistemi controllando le popolazioni “in eccesso”. Una storia che abbiamo spesso sentito anche in Italia ma di cui non siamo mai riusciti ad apprezzarne i risultati.
Questa ricerca, pubblicata anch'essa sul British Ecological Society's Journal of Applied Ecology, fornisce una base scientifica robusta sulla base della quale eventuali provvedimenti di questo tipo potrebbero o dovrebbero essere assunti se realmente necessari. Lo studio si basa su dati provenienti da una zona di oltre 1.700 kmq di altipiani nei quali è stato studiato il rapporto tra l'andamento delle popolazioni di corvo e di limicoli negli ultimi 20 anni.
La storica persecuzione perpetrata da cacciatori, proprietari terrieri e contadini contro i corvi aveva portato il loro numero a ridursi vistosamente nel corso del XX secolo, con un sostanziale restringimento del loro areale di distribuzione. Cambiamenti economici e culturali hanno consentito ai corvi, negli ultimi 25 anni, di crescere di nuovo e riconquistare gli spazi da cui erano stati eliminati. Nel Regno Unito, il Breeding Bird Survey ha dimostrato che tra il 1994 e il 2007 la popolazione di corvi è aumentata del 134%.
Nonostante questo evidente recupero, la ricerca non ha trovato alcuna correlazione tra questa dinamica in crescita e il parallelo calo delle popolazioni di limicoli. Altri fattori, come la modifica degli habitat, della copertura vegetale e un generalizzato aumento dei predatori come le volpi, possono essere responsabili del declino su così ampia scala.
tratto da: tutelafauna
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