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sabato 31 ottobre 2009

PESCA: UE CONDANNA ITALIA PER UTILIZZO SPADARE

PESCA: UE CONDANNA ITALIA PER UTILIZZO SPADARE






30-10-09


29 ott - Italia condannata dalla Corte di giustizia delle Comunita' europee in merito all'uso, da parte dei pescatori, delle reti da pesca derivanti, meglio note come 'spadare', proibite dalla normativa comunitaria allo scopo di garantire la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate.

Rileva la Corte: ''Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranita' o giurisdizione, l'esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l'impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l'applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana e' venuta meno agli obblighi che le incombono'' ed '' e' condannata alle spese''.

Inoltre la Corte di Giustizia del Lussemburgo ha appurato che il nostro Paese ''non ha avviato azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime''.

Gli stati membri dell'Ue, ricorda la C.g.e., sono tenuti "a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo ovvero l'impiego di reti da posta derivanti (le 'spadare') di lunghezza superiore a 2,5 km, e a decorrere dal primo gennaio 2002, la detenzione a bordo o l'utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie".

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Il testo della sentenza

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SENTENZA DELLA CORTE (Settima Sezione)

29 ottobre 2009 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Politica comune della pesca – Conservazione delle risorse – Regime di controllo nel settore della pesca – Regolamento (CE) n. 894/97 – Art. 11 – Regolamento (CEE) n. 2241/87 – Art. 1, nn. 1 e 2 – Regolamento (CEE) n. 2847/93 – Artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2 – Divieto di reti da posta derivanti – Assenza di sistemi di controllo efficaci volti al rispetto di tale divieto»

Nella causa C‑249/08,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 5 giugno 2008,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalle sig.re K. Banks e C. Cattabriga, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

contro

Repubblica italiana, rappresentata dalla sig.ra I. Bruni, in qualità di agente, assistita dal sig. F. Arena, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,

convenuta,

LA CORTE (Settima Sezione),

composta dalla sig.ra P. Lindh (relatore), presidente della Sesta Sezione, facente funzione di presidente della Settima Sezione, dai sigg. U. Lõhmus e A. Ó Caoimh, giudici,

avvocato generale: sig. D. Ruiz-Jarabo Colomer

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il proprio ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:

– non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e

– non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra,

la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca (GU L 207, pag. 1), e degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca (GU L 261, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846 (GU L 358, pag. 5, e – rettifica – GU 1999, L 105, pag. 32; in prosieguo: il «regolamento n. 2847/93»).

Contesto normativo

La normativa in materia di reti da posta derivanti

2 Il primo regime comunitario di conservazione e gestione delle risorse della pesca è stato istituito con il regolamento (CEE) del Consiglio 25 gennaio 1983, n. 170, che istituisce un regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse della pesca (GU L 24, pag. 1). Sulla base di tale regolamento, è stato adottato il regolamento (CEE) del Consiglio 7 ottobre 1986, n. 3094, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 288, pag. 1).

3 L’art. 9 bis del regolamento n. 3094/86, come modificato dal regolamento (CEE) del Consiglio 27 gennaio 1992, n. 345 (GU L 42, pag. 15), ha istituito il principio del divieto delle reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 km.

4 Il regolamento n. 3094/86 è stato abrogato e sostituito con regolamento (CE) del Consiglio 29 aprile 1997, n. 894, che istituisce misure tecniche per la conservazione delle risorse della pesca (GU L 132, pag. 1).

5 Gli artt. 11, 11 bis e 11 ter del regolamento n. 894/97, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 8 giugno 1998, n. 1239 (GU L 171, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento n. 894/97»), così recitano:

«Articolo 11

È vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti la cui lunghezza individuale o addizionata sia superiore a 2,5 chilometri.

Articolo 11 bis

1. Dal 1° gennaio 2002 è vietato a qualsiasi nave tenere a bordo o effettuare attività di pesca con una o più reti da posta derivanti destinate alla cattura di specie elencate nell’allegato VIII.

(...)

Articolo 11 ter

(...)

6. In caso di inadempimento degli obblighi di cui agli articoli 11 e 11 bis e al presente articolo, le autorità competenti adottano le misure appropriate nei confronti delle navi in questione, a norma dell’articolo 31 del regolamento (CEE) n. 2847/93».

Il regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca

Il regolamento n. 2241/87

6 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 precisava quanto segue:

«1. Per garantire l’osservanza di tutta la normativa in vigore in materia di misure di conservazione e di controllo, ogni Stato membro controlla, nel proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca e delle attività connesse. Esso ispeziona i pescherecci e tutte le attività la cui ispezione dovrebbe consentire la verifica dell’applicazione del presente regolamento, in particolare le attività di sbarco, di vendita, di magazzinaggio del pesce e di registrazione degli sbarchi e delle vendite.

2. Se, in seguito ad un controllo o ad un’ispezione effettuata ai sensi del paragrafo 1, le autorità competenti di uno Stato membro constatano il non rispetto della normativa in vigore in materia di conservazione e di controllo, esse intentano un’azione penale o amministrativa contro il capitano del peschereccio o qualsiasi altra persona responsabile».

Il regolamento n. 2847/93

7 L’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 così dispone:

«1. Per garantire l’osservanza delle disposizioni della politica comune della pesca, è istituito un regime comunitario comprendente, in particolare, disposizioni sul controllo tecnico:

– delle misure di conservazione e di gestione delle risorse,

– delle misure strutturali,

– delle misure relative all’organizzazione comune dei mercati,

nonché disposizioni relative all’efficacia delle sanzioni da applicare in caso di inosservanza delle misure medesime.

2. A tal fine ogni Stato membro adotta, conformemente alla normativa comunitaria, provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime. Esso dota altresì le proprie autorità competenti di mezzi sufficienti all’espletamento delle loro funzioni ispettive e di controllo definite nel presente regolamento».

8 L’art. 2, n. 1, di tale regolamento così recita:

«Per garantire l’osservanza di tutta la normativa vigente, ciascuno Stato membro controlla, ispeziona e sorveglia, nel proprio territorio e nelle acque marittime sotto la sua sovranità o giurisdizione, tutte le attività della filiera pesca e in particolare l’esercizio della pesca, le attività di trasbordo e di sbarco, di immissione in commercio, di trasporto e di magazzinaggio dei prodotti della pesca nonché la registrazione degli sbarchi e delle vendite. Gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire il migliore controllo possibile nel proprio territorio e nelle acque marittime sotto la loro sovranità o giurisdizione tenendo conto della loro situazione particolare».

9 L’art. 31 del medesimo regolamento precisa quanto segue:

«1. Gli Stati membri garantiscono che siano prese adeguate misure, compreso l’avvio di azioni amministrative o penali conformemente alle legislazioni nazionali, contro le persone fisiche o giuridiche responsabili, qualora sia stata constatata una violazione delle norme della politica comune della pesca, in particolare in seguito all’ispezione o al controllo effettuati in conformità del presente regolamento.

2. Le azioni promosse ai sensi del paragrafo 1 devono, secondo le pertinenti disposizioni legislative nazionali, privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dall’infrazione o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo.

(...)

3. Le sanzioni conseguenti alle azioni di cui al paragrafo 2 possono includere, a seconda della gravità dell’infrazione:

– la comminazione di pene pecuniarie,

– il sequestro di attrezzi e catture proibiti,

– il sequestro conservativo del natante,

– l’immobilizzazione temporanea del natante,

– la sospensione della licenza,

– il ritiro della licenza.

(...)».

10 Il sucecssivo art. 39 precisa quanto segue:

«1. Il regolamento (CEE) n. 2241/87 è abrogato il 1° gennaio 1994 (...)

2. I riferimenti al regolamento abrogato in forza del paragrafo 1 si intendono fatti al presente regolamento».

11 Ai sensi del suo art. 40, il regolamento n. 2847/93 è entrato in vigore il 1° gennaio 1994.

La fase precontenziosa del procedimento

12 Nel 1992 e nel 1993, avendo ricevuto numerose denunce riguardanti l’uso da parte di pescherecci italiani di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km, la Commissione effettuava due ispezioni che avrebbero rilevato carenze da parte delle autorità italiane nel controllo del rispetto della normativa comunitaria attinente all’utilizzazione delle reti da posta derivanti.

13 Con lettera del 14 marzo 1994, la Commissione richiamava l’attenzione della Repubblica italiana sull’esigenza di garantire, conformemente all’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87, mediante controlli e l’irrogazione di sanzioni, il rispetto della normativa attinente alla lunghezza delle reti da posta derivanti quale stabilita dall’art. 9 bis del regolamento n. 3094/86, come modificato dal regolamento n. 345/92. L’istituzione intimava quindi a tale Stato membro di presentare le sue osservazioni entro il termine di due mesi.

14 Con comunicazione di risposta dell’11 maggio 1994, le autorità italiane replicavano agli addebiti della Commissione.

15 Secondo la Commissione, ispezioni e controlli effettuati nei mesi di luglio 1994, agosto, settembre e ottobre 1995 nonché nei mesi di maggio e giugno 1996 avrebbero rilevato la persistenza di numerose infrazioni alla normativa che vieta il possesso di reti da posta derivanti di lunghezza superiore a 2,5 km. Sarebbe stata parimenti rilevata l’insufficienza e l’inefficacia dell’intervento delle autorità italiane in materia.

16 Con comunicazione del 24 settembre 1996, trasmessa il 23 ottobre seguente, la Commissione inviava alla Repubblica italiana una diffida complementare in cui contestava allo Stato membro medesimo, in particolare, la persistenza delle carenze in materia di controlli e di sorveglianza del rispetto della normativa attinente all’utilizzazione delle reti da posta derivanti.

17 Nei mesi di maggio e giugno 1997, la Commissione effettuava sei ispezioni in loco: essa avrebbe rilevato la persistenza di violazioni della normativa comunitaria in materia di utilizzazione delle reti da posta derivanti nonché l'inerzia delle autorità italiane incaricate dei controlli. Tale constatazione sarebbe stata confermata da quattro ispezioni effettuate nei mesi di maggio, giugno e luglio 1998, da cinque ispezioni compiute nei mesi di maggio e settembre 1999, da sette ispezioni nel 2000 e da tre ispezioni compiute nell’aprile e nel giugno del 2001.

18 Con lettera del 18 luglio 2001, trasmessa il 24 luglio seguente, la Commissione inviava quindi alla Repubblica italiana una nuova lettera di diffida che riprendeva, sostanzialmente, gli addebiti già formulati in quella precedente.

19 Nei mesi di maggio, giugno e luglio 2002, nonché nei mesi di maggio, giugno e luglio 2003, la Commissione effettuava controlli che avrebbero consentito di constatare violazioni della normativa attinente all’utilizzazione o al possesso di reti da posta derivanti nonché carenze nel sistema volto al rispetto di tali disposizioni ed a sanzionarne la violazione.

20 In data 16 marzo 2005, la Commissione trasmetteva quindi alla Repubblica italiana un parere motivato in cui le contestava le carenze seguenti:

– molteplicità delle strutture incaricate del controllo sull’uso di reti da posta derivanti non accompagnata da un adeguato coordinamento e dalla necessaria cooperazione tra tali strutture;

– assenza di un programma specifico di controllo per le reti da posta derivanti e di un’adeguata strategia di controllo;

– mancanza di tempo, nonché delle risorse umane e dei mezzi logistici necessari a svolgere un controllo efficace, tenuto conto in particolare della lunghezza delle coste, della dispersione della flotta e della molteplicità di compiti da espletare;

– scarsa conoscenza, da parte del personale incaricato delle procedure di controllo, della normativa applicabile e dell’elenco delle navi autorizzate;

– insufficienza tanto dei controlli a terra, troppo blandi, quanto di quelli in mare, solo occasionali;

– reticenza delle autorità preposte per il rischio di reazioni sociali alle misure di repressione adottate;

– mancata previsione di sanzioni per la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti;

– basso tasso di denuncia, da parte delle autorità di controllo, delle irregolarità constatate ai fini dell’apertura delle conseguenti procedure sanzionatorie, amministrative o penali, e

– inadeguatezza delle ammende applicate, di gran lunga inferiori a quelle applicate in caso di violazione del codice della navigazione o delle norme sanitarie e non aggravate in caso di recidiva.

21 Conseguentemente, veniva contestato alla Repubblica italiana di essere venuta meno, per effetto di tali carenze, agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93. Lo Stato membro medesimo veniva invitato a conformarsi al parere motivato entro il termine di due mesi a decorrere dalla sua ricezione.

22 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dalle osservazioni formulate dalla Repubblica italiana, faceva effettuare un’ispezione in loco nel mese di luglio 2005, da cui emergeva che la situazione non presentava cambiamenti.

23 Con lettere del 31 agosto 2005 e del 31 maggio 2006, la Commissione chiedeva alle autorità italiane informazioni precise in ordine al sistema di controllo (risorse umane e materiali, programmazione dei controlli, formazione del personale) e sanzione da esse applicato per garantire il rispetto della normativa comunitaria in materia di reti da posta derivanti.

24 La Commissione, non ritenendosi soddisfatta dagli elementi di risposta forniti dalle autorità italiane con lettere del 17 ottobre 2005, trasmessa il 6 gennaio 2006, e del 13 luglio 2006 nonché da quelli risultanti da una riunione svoltasi a Roma in data 20 e 21 febbraio 2006, decideva di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

25 A sostegno del proprio ricorso, la Commissione deduce che, fin dalla sua introduzione nel 1992, la normativa sulla pesca mediante le reti da posta derivanti e sulla detenzione a bordo di tali dispositivi è stata sistematicamente ed ampiamente violata dalla flotta da pesca italiana, secondo quanto rilevato dai propri ispettori in occasione di una serie di missioni effettuate in loco. L’istituzione ritiene che l’ampiezza e la gravità di tale fenomeno siano direttamente imputabili all’inefficienza delle autorità italiane, da cui deriva che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma degli artt. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93 per quanto attiene al controllo del rispetto del divieto dell’uso e della detenzione di reti di tal genere. Lo Stato membro medesimo non rispetterebbe peraltro gli obblighi ad esso incombenti ai sensi degli artt. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87 e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93 per quanto attiene alla repressione delle violazioni di tale divieto.

26 La Repubblica italiana chiede alla Corte di voler respingere il ricorso e di condannare la Commissione alle spese. Essa osserva di aver sempre contestato le affermazioni della Commissione, contrariamente a quanto sostenuto da quest’ultima, la quale, peraltro, non avrebbe dimostrato la veridicità delle proprie affermazioni.

27 Detto Stato membro sottolinea, al contrario, che la normativa italiana consente una repressione completa ed efficace delle violazioni della normativa attinente alla detenzione a bordo e all’impiego delle reti da posta derivanti. Peraltro, il Corpo delle Capitanerie di porto, organo specificamente incaricato della sorveglianza e del controllo della pesca, pianificherebbe ed effettuerebbe la propria azione efficacemente.

Osservazioni introduttive

28 Secondo costante giurisprudenza, l’esistenza di un inadempimento dev’essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato e la Corte non può tenere conto dei mutamenti successivi (v. sentenze 2 giugno 2005, causa C‑282/02, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑4653, punto 40; 22 dicembre 2008, causa C‑189/07, Commissione/Spagna, punto 27, e 11 giugno 2009, causa C‑564/07, Commissione/Austria, punto 23).

29 Pertanto, nel presente procedimento, considerato che il parere motivato è stato notificato in data 16 marzo 2005, gli elementi di fatto prodotti dalla Repubblica italiana e relativi ad un periodo in gran parte successivo alla scadenza del termine fissato nel parere medesimo non possono essere presi in considerazione ai fini della valutazione della fondatezza del presente ricorso (v., per analogia, sentenza Commissione/Spagna, cit., punto 28).

Sulla portata degli obblighi incombenti sugli Stati membri nel settore della politica comune della pesca

30 L’art. 1 del regolamento n. 2847/93, il quale costituisce, nel settore della pesca, un’espressione particolare degli obblighi imposti agli Stati membri dall’art. 10 CE, prevede che questi ultimi adottino provvedimenti atti a garantire l’efficacia del regime comunitario di conservazione e di gestione delle risorse in materia di pesca (v. sentenze 12 luglio 2005, causa C‑304/02, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑6263, punto 32, e Commissione/Spagna, cit., punto 35).

31 Il rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza delle norme comunitarie è da ritenersi imperativo per garantire la protezione dei fondali, la conservazione delle risorse biologiche marine ed il loro sfruttamento sostenibile in condizioni economiche e sociali appropriate (v. citate sentenze Commissione/Francia, punto 34, e Commissione/Spagna, punto 36).

32 Gli Stati membri sono tenuti, segnatamente, a garantire il rispetto della normativa comunitaria che vieta la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di lunghezza individuale o addizionata superiore a 2,5 km ovvero l’impiego delle medesime nell’esercizio delle attività di pesca nonché, a decorrere dal 1° gennaio 2002, la detenzione a bordo o l’utilizzazione di reti di tal genere, a prescindere dalla loro lunghezza, ai fini della cattura di talune specie.

33 A tal fine, l’art. 2 del regolamento n. 2847/93, che ricalca gli obblighi dettati dall’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87, impone agli Stati membri di controllare l’esercizio della pesca e le attività ad essa connesse. Esso impone che gli Stati membri ispezionino i pescherecci e controllino tutte le attività nel settore della pesca e, in particolare, l’esercizio della pesca. A tale scopo, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire il miglior controllo possibile sul loro territorio e nelle acque marittime soggette alla loro sovranità o alla loro giurisdizione.

34 È alla luce di tali considerazioni che occorre esaminare se la Repubblica italiana sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti a norma dell’art. 1, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, per quanto attiene alla verifica del rispetto della normativa comunitaria relativa all’esercizio della pesca mediante reti da posta derivanti ed alla repressione delle violazioni alla normativa medesima.

Sul primo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 e 2, n. 1, del regolamento n. 2847/93

Argomenti delle parti

35 A sostegno di tale censura la Commissione ritiene, in primo luogo, che l’inefficacia del sistema di controllo sia connesso alla molteplicità delle strutture incaricate della sorveglianza del controllo delle attività di pesca nonché al fatto che tali strutture non siano coordinate e non cooperino in modo adeguato. Peraltro, le strutture medesime non disporrebbero di sufficienti risorse materiali ed umane. In secondo luogo, l’istituzione lamenta l’assenza di un’adeguata strategia di controllo.

36 A parere della Commissione, il sistema italiano di controllo delle attività di pesca è garantito da quattro strutture differenti, vale a dire il Corpo delle Capitanerie di Porto (Guardia Costiera), la Guardia di Finanza, l'Arma dei Carabinieri e la Polizia di Stato. Esclusa la prima, le altre strutture eserciterebbero tali attività in maniera residuale. Inoltre, lo scambio di informazioni ed il coordinamento tra le strutture medesime sarebbero limitati.

37 Il Corpo delle Capitanerie di Porto non avrebbe quale unico compito quello di garantire il controllo delle attività di pesca, dovendo parimenti assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia delle vite in mare. Orbene, quest’ultimo compito verrebbe svolto principalmente in primavera e in estate, vale a dire durante le stesse stagioni in cui sono più utilizzate le reti da posta derivanti, il che impedirebbe all’amministrazione medesima di dedicarsi pienamente alla propria attività di controllo e di vigilanza sulla pesca. Tale struttura non disporrebbe peraltro di risorse sufficienti, ove tale insufficienza sarebbe caratterizzata dalla mancanza di imbarcazioni, dall’assenza di un sistema di localizzazione via satellite dei pescherecci nonché dalla mancata informatizzazione dei giornali di bordo. L’unica struttura che disporrebbe di imbarcazioni adeguate alle operazioni in alto mare sarebbe la Guardia di Finanza, la quale le utilizzerebbe per le proprie attività. Infine, lo scambio di informazioni tra dette amministrazioni sarebbe limitato e vi sarebbe assenza di coordinamento della loro azione.

38 La Commissione deduce che, sebbene le prime relazioni di ispezione da essa prodotte a sostegno del ricorso risalgano al 1994 ed al 1996, le violazioni alla normativa attinente all’impiego delle reti da posta derivanti e l’atteggiamento lassista delle autorità persisterebbero, come emergerebbe dalle denunce trasmesse dalle associazioni di tutela dell’ambiente e da una relazione effettuata a seguito di una missione effettuata da ispettori della Commissione nel mese di luglio 2008.

39 Per quanto attiene all’assenza di una strategia di controllo, la Commissione sostiene che il Corpo delle Capitanerie di Porto non programmi in modo adeguato e non pianifichi le proprie operazioni di controllo sull’impiego delle reti da posta derivanti. Peraltro, i controlli si concentrerebbero sul periodo immediatamente precedente l’inizio della campagna di pesca, verrebbero svolti a terra e sarebbero sporadici.

40 Tale pianificazione potrebbe essere assicurata qualora si tenesse conto che la pesca mediante reti da posta derivanti viene praticata essenzialmente nelle regioni tirreniche, vale a dire al largo della Calabria, della Campania e del Lazio, nonché della Sardegna. Inoltre, tale pesca verrebbe effettuata unicamente nei mesi compresi tra aprile e settembre e le imbarcazioni che la praticano misurerebbero più di dieci metri e sarebbero equipaggiate con un rullo salva rete. Infine, talune di queste imbarcazioni, benché abbiano beneficiato di aiuti comunitari per facilitare la loro riconversione, continuerebbero ad esercitare l’attività di pesca mediante reti da posta derivanti laddove sarebbe facile effettuare controlli.

41 Nonostante le reiterate richieste della Commissione, le autorità italiane non avrebbero trasmesso elementi concreti volti a dimostrare l’esistenza di operazioni di pianificazione delle attività di controllo.

42 Secondo la Repubblica italiana, l’organismo incaricato dei controlli in materia di pesca è il Corpo delle Capitanerie di Porto. Non sarebbe necessario coordinare l’azione di tale struttura con quelle delle altre strutture che si limiterebbero ad un’attività di sostegno all’esercizio di tale compito. Le azioni di panificazione e di controllo attuate sarebbero soddisfacenti.

43 Le relazioni delle ispezioni effettuate del luglio 1994 e del maggio 1996 menzionate dalla Commissione sarebbe risalenti nel tempo e non rispecchierebbero in modo significativo la situazione attuale delle azioni svolte dalle autorità italiane. Secondo la Repubblica italiana, i rapporti redatti dal Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005‑2007 hanno ben diverso valore. Tali rapporti evidenzierebbero come detta amministrazione abbia posto in essere un’azione efficace, d’altronde riconosciuta dagli ispettori comunitari in occasione della loro missione effettuata nel giugno del 2006. Peraltro, le relazioni prodotte dalla Commissione e provenienti da organizzazioni private sarebbero inidonee a dimostrare alcunché. Infine, la relazione della missione effettuata dagli ispettori della Commissione nel mese di luglio 2008 sarebbe poco significativa, in quanto effettuata nell’estate del 2008 nella zona di Lampedusa, caratterizzata all’epoca da un imponente flusso di immigrazione clandestina tale da rendere indispensabile l’intervento delle autorità.

44 Per quanto attiene alla pianificazione dei controlli, la Repubblica italiana afferma che dai rapporti redatti dal Comando Generale delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005-2007 emerge che tale amministrazione ha posto in essere un’azione efficace e pianificata di monitoraggio e controllo delle attività di pesca.

Giudizio della Corte

45 Nell’ambito di un procedimento per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, spetta alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Ad essa spetta fornire alla Corte gli elementi necessari affinché questa accerti l’esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v. sentenza 26 aprile 2005, causa C‑494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I‑3331, punto 41 e giurisprudenza ivi richiamata).

46 Tuttavia, quando la Commissione ha fornito elementi sufficienti a far risultare che le autorità di uno Stato membro hanno posto in essere una prassi reiterata e persistente contraria al diritto comunitario, spetta allo Stato membro medesimo confutare in modo sostanziale e dettagliato i dati in tal modo forniti, nonché le conseguenze che ne derivano (v., per analogia, sentenze Commissione/Irlanda, cit., punto 47 e giurisprudenza ivi richiamata, nonché 26 aprile 2007, causa C‑135/05, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3475, punto 32).

47 A sostegno del ricorso la Commissione ha prodotto 33 relazioni di ispezioni cui essa ha fatto procedere, nel periodo compreso tra il 1993 e il 2005, in vari porti di pesca italiani al fine di verificare il rispetto della normativa comunitaria relativa alla pesca mediante reti da posta derivanti.

48 Dalle singole ispezioni emerge che la detenzione a bordo e l’impiego, da parte dei pescatori italiani, di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso erano frequenti, abituali e ampiamente diffusi durante tutto il periodo oggetto del presente procedimento.

49 Dalle ispezioni medesime risulta parimenti che le autorità incaricate della vigilanza di controllo delle attività di pesca non avevano posto in essere un’azione sufficientemente efficace per reprimere le violazioni alla normativa comunitaria e per evitare la loro reiterazione. Dalle ispezioni è emerso, in particolare, che il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva delle risorse umane e materiali sufficienti per effettuare operazioni in alto mare e che operazioni di tal genere potevano essere effettuate unicamente dalla Guardia di Finanza. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non disponeva, peraltro, di sistemi di localizzazione via satellite dei pescherecci. Infine, è apparso che l’azione del Corpo delle Capitanerie di Porto non costituiva oggetto di una pianificazione che consentisse di renderla più efficace.

50 Si deve necessariamente rilevare che la Repubblica italiana non contesta il fatto che durante il periodo oggetto del presente procedimento per inadempimento fossero frequenti le violazioni, da parte dei pescatori italiani, al divieto di detenzione a bordo e di impiego di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Peraltro, la Repubblica italiana, sebbene sostenga che le azioni di sorveglianza e controllo delle attività di pesca nonché la pianificazione delle azioni medesime siano quasi esclusivamente compito del Corpo delle Capitanerie di Porto, produce, al fine di dimostrare che l’azione di tale amministrazione sia pianificata ed efficace, relazioni concernenti unicamente gli anni 2005-2007. Orbene, tali relazioni riguardano un periodo largamente successivo alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e non possono pertanto essere prese in considerazione.

51 La Repubblica italiana non ha peraltro contraddetto l’affermazione della Commissione secondo cui il Corpo delle Capitanerie di Porto non ha quale unico compito quello di sorvegliare e controllare le attività di pesca, dovendo parimenti far fronte ad altri compiti come assicurare la sicurezza della navigazione e la salvaguardia delle vite umane in mare, compiti esercitati principalmente nello stesso periodo in cui vengono utilizzate le reti da posta derivanti. Il Corpo delle Capitanerie di Porto non può quindi esercitare pienamente i propri compiti di controllo e di sorveglianza delle attività di pesca.

52 Dai suesposti rilievi emerge che, nel periodo oggetto del presente procedimento, la sorveglianza e il controllo delle attività di pesca non erano efficacemente garantiti dalle autorità italiane e che l’addebito relativo all’inefficienza delle autorità italiane nell’esercizio e nella pianificazione dei loro compiti di sorveglianza e di controllo è fondato.

Sul secondo addebito, relativo alla violazione degli artt. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87 e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93

53 A sostegno di tale censura la Commissione, in primo luogo, contesta l’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla repressione della detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è proibito l’impiego. In secondo luogo, l’istituzione sostiene che le autorità di controllo non denuncino in misura sufficiente le violazioni accertate ai fini dell’avvio dei relativi procedimenti. Le sanzioni inflitte nei casi di perseguimento delle violazioni non sarebbero peraltro né efficaci né dissuasive.

Sull’insufficienza della normativa italiana per quanto attiene alla repressione della detenzione di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego

– Argomenti delle parti

54 La Commissione osserva, in primo luogo, che, contrariamente a quanto disposto dagli artt. 11 e 11 bis del regolamento n. 894/97, la normativa italiana vigente all’epoca del parere motivato, vale a dire la legge 14 luglio 1965, n. 963 (GURI n. 203 del 14 agosto 1965), non prevedeva sanzioni per la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Secondo l’interpretazione giurisprudenziale della normativa italiana, la detenzione a bordo di tali reti verrebbe sanzionata solamente ove sia stata accertata durante la navigazione ovvero nel momento in cui l’imbarcazione salpa. La mancata tipizzazione quale illecito della semplice detenzione di dette reti a bordo delle imbarcazioni produrrebbe la conseguenza che l’accertamento delle violazioni potrebbe avvenire solo in mare o al momento dell’uscita dal porto, il che complicherebbe i controlli.

55 La Commissione prende atto della legge 6 giugno 2008, n. 101 (GURI n. 132 del 7 giugno 2008, pag. 4), che prevede come illecito la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso. Tuttavia, tale legge è intervenuta tre anni dopo il termine fissato nel parere motivato. Peraltro, gli artt. 15 e 26 della legge 14 luglio 1965, n. 963, avrebbero consentito di sanzionare solamente la pesca effettuata mediante strumenti non ammessi, ma non la semplice detenzione a bordo dei medesimi. Infine, sarebbero sussistiti seri dubbi quanto alla validità, quale fondamento del divieto della detenzione di dette reti, dei regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155. Infatti, la giurisprudenza dominante avrebbe considerato il regio decreto 4 aprile 1940, n. 1155, implicitamente abrogato per effetto della legge 14 luglio 1965, n. 963.

56 La Repubblica italiana deduce che la legge 6 giugno 2008, n. 101, vieta la semplice detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego.

57 Lo Stato membro medesimo sottolinea che, già prima della modifica legislativa intervenuta nel 2008, la pesca effettuata mediante strumenti non consentiti risultava vietata, nell’ordinamento giuridico italiano, dalla legge 14 luglio 1965, n. 963.

58 La Repubblica italiana sostiene parimenti che, anche prima dell’adozione della legge 6 giugno 2008, n. 101, l’amministrazione nazionale riteneva possibile sanzionare la semplice detenzione di reti da posta derivanti di cui è proibito l’uso richiamandosi ai regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155, impartendo istruzioni in tal senso. Conseguentemente, la detenzione a bordo di strumenti di pesca di cui è vietato l’impiego era considerata vietata in Italia. La legge 6 giugno 2008, n. 101, avrebbe semplicemente raddoppiato l’importo delle ammende previste, disponendo la confisca delle reti di cui trattasi, la loro immediata distruzione e la sospensione della licenza di pesca. Lo Stato membro medesimo ne trae la conclusione che l’addebito, nella parte attinente all’insufficienza della normativa di repressione, è venuto meno.

– Giudizio della Corte

59 In caso di violazione della normativa comunitaria in materia di conservazione e controllo della pesca e, più in particolare, della normativa relativa alle restrizioni all’impiego delle reti da posta derivanti, le autorità competenti di uno Stato membro erano tenute ad intentare un’azione penale o amministrativa contro i responsabili, in conformità dell’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87. Analogo obbligo incombe agli Stati membri dal 1° gennaio 1994, ai sensi dell’art. 31, n. 1, del regolamento n. 2847/93 (v. sentenza 25 aprile 2002, cause riunite C‑418/00 e C‑419/00, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑3969, punto 62).

60 La Repubblica italiana era dunque tenuta ad adottare e porre in essere una normativa che prevedesse azioni amministrative o penali nei confronti dei responsabili delle violazioni del divieto di detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego.

61 È pacifico che la legge 6 giugno 2008, n. 101, preveda sanzioni in caso di detenzione a bordo di reti di tal genere. Tuttavia, tale legge è stata emanata successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato e resta priva di effetti sulla valutazione della sussistenza dell’inadempimento contestato.

62 Peraltro, è altresì pacifico che, prima della modifica per effetto della legge 6 giugno 2008, n. 101, la legge 14 luglio 1965, n. 963, non puniva la semplice detenzione a bordo di dette reti. Occorre quindi accertare se, come sostiene la Repubblica italiana e come contesta invece la Commissione, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, i regi decreti 8 ottobre 1931, n. 1604, e 4 aprile 1940, n. 1155, costituissero un fondamento normativo sufficiente per l’esercizio di azioni volte a sanzionare la detenzione a bordo di reti da posta derivanti il cui impiego è vietato dalla normativa comunitaria.

63 A tale riguardo, dalle circolari 19 giugno 2006, n. 1/2006, e 10 gennaio 2007, n. 4/2007, prodotte all’udienza, emerge che il governo italiano incitava l’amministrazione a procedere alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’impiego e a disporre sanzioni amministrative fondandosi sui regi decreti medesimi. Tuttavia, nelle proprie memorie la Repubblica italiana riconosce che la confisca delle reti in questione si fondava su un’interpretazione di detti decreti i quali, secondo l’amministrazione, potevano continuare ad essere considerati vigenti laddove sussistevano invece dubbi in ordine alla questione se fossero stati abrogati o meno.

64 Tuttavia, oltre al fatto che le menzionate circolari sono state adottate successivamente alla scadenza del termine fissato nel parere motivato, non si può ritenere che semplici prassi amministrative, per loro natura modificabili a discrezione dell’amministrazione e prive di adeguata pubblicità, costituiscano valido adempimento degli obblighi incombenti agli Stati membri nel contesto dell’applicazione dei regolamenti comunitari (v., in tal senso, per quanto attiene alla trasposizione delle direttive, sentenza 10 maggio 2007, causa C‑508/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I‑3787, punto 80 e la giurisprudenza ivi richiamata, nonché, per quanto attiene all’adempimento degli obblighi risultanti dal Trattato CE, sentenza 8 luglio 1999, causa C‑203/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑4899, punto 14).

65 Ne consegue che, al momento della scadenza del termine fissato nel parere motivato, nella normativa italiana non esistevano disposizioni che vietassero chiaramente la detenzione a bordo di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso e prevedessero sanzioni per le violazioni del divieto medesimo. Il secondo addebito risulta pertanto fondato sotto tale profilo.

Sull’insufficienza delle denunce delle violazioni e sull’esiguità delle sanzioni

– Argomenti delle parti

66 A parere della Commissione, dai documenti trasmessi dalle autorità italiane nell’ambito della fase precontenziosa del procedimento emerge che, anche nei casi in cui sono state accertate infrazioni, le autorità di controllo non hanno trasmesso l’informativa alle autorità competenti ai fini del relativo perseguimento. Inoltre, le infrazioni non sarebbero state né perseguite né sanzionate efficacemente. Infatti, il numero di sanzioni inflitte sarebbe ridotto e le ammende risulterebbero di esigua entità rispetto agli importi previsti dalla normativa nazionale nonché rispetto al prezzo di una rete da posta derivante. Infine, le ammende non sarebbero state aumentate in caso di recidiva.

67 Peraltro, i provvedimenti accessori quali il sequestro delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso sarebbero stati inefficaci. Infatti, le reti sequestrate sarebbero state lasciate sotto la custodia degli stessi autori delle violazioni. Il numero di reti sequestrate, anche relativamente agli anni 2005-2007, sarebbe troppo esiguo rispetto al numero di pescherecci che utilizzano tale tipo di rete. La Commissione relativizza parimenti l’entità delle confische di reti indicate dalle autorità italiane, deducendo che, atteso che ogni rete da posta derivante ha una lunghezza media di 10 km, il sequestro di 790 000 metri di reti corrisponde al sequestro di 79 reti, cifra ampiamente inferiore al numero di pescherecci multati dalle autorità italiane nel 2007 per violazione del divieto di impiego di reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso.

68 Infine, la Commissione fa valere che le autorità italiane non considerano come reti da posta derivanti talune reti la cui utilizzazione è invece vietata dalla normativa comunitaria.

69 La Repubblica italiana produce una serie di rapporti del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto relativi agli anni 2005-2007 da cui emergerebbe che l’azione svolta per controllare la detenzione e l’uso delle reti da posta derivanti sarebbe stata pianificata, efficace e produttiva di risultati soddisfacenti. In tal senso, 790 000 metri di reti sarebbero stati confiscati nel 2005, 633 136 metri nel 2006 e 700 000 metri nel 2007. Tale efficacia sarebbe stata riconosciuta dagli ispettori della Commissione in occasione delle loro missioni effettuate nel giugno del 2006.

– Giudizio della Corte

70 L’art. 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93, che riprende gli obblighi previsti all’art. 1, n. 2, del regolamento n. 2241/87, impone agli Stati membri di perseguire le infrazioni accertate. Detta disposizione precisa, al riguardo, che le azioni promosse devono essere idonee a privare effettivamente i responsabili del beneficio economico derivante dalle infrazioni o produrre effetti proporzionati alla gravità delle infrazioni medesime, tali da fungere da deterrente per ulteriori infrazioni dello stesso tipo.

71 L’obbligo degli Stati membri di vegliare a che le infrazioni alla normativa comunitaria formino oggetto di sanzioni a carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo presenta un’importanza essenziale nel settore della pesca. Infatti, se le autorità competenti di uno Stato membro si astenessero sistematicamente dal perseguire i responsabili di tali infrazioni, ne risulterebbero pregiudicate sia la conservazione e la gestione delle risorse della pesca, sia l’applicazione uniforme della politica comune della pesca (v. citate sentenze 12 luglio 2005, Commissione/Francia, punto 69, e Commissione/Spagna, punto 39).

72 I regolamenti nn. 2241/87 e 2847/93 forniscono infatti indicazioni precise quanto al contenuto delle misure che debbono essere adottate dagli Stati membri e che debbono tendere all’accertamento della regolarità delle operazioni di pesca allo scopo di prevenire eventuali irregolarità e nel contempo di reprimerle. Tale obiettivo implica che le misure attuate debbano avere un carattere effettivo, proporzionato e dissuasivo (v. citate sentenze 12 luglio 2005, Commissione/Francia, punto 37, e Commissione/Spagna, punto 40).

73 Dai dati comunicati nell’allegato alla lettera del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali del 5 novembre 2001, n. 13544, e, segnatamente, dal rapporto del Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto prodotto nell’allegato 27 al ricorso della Commissione emerge che, per quanto riguarda l’anno 2000, non erano praticamente mai state avviate azioni penali. Le stesse constatazioni risultano dagli allegati alla lettera del Ministero medesimo del 13 luglio 2006, prodotti nell’allegato 42 al ricorso della Commissione. Infatti, nel periodo compreso tra il 2003 e il 2006, le sanzioni inflitte sono state scarse e le ammende amministrative ammontano ad un importo di circa EUR 1 000. Il numero di sanzioni inflitte e l’esiguità dei loro importi rispetto ai benefici ricavati dalle violazioni non sono contestati dalla Repubblica italiana.

74 Per quanto attiene alla confisca delle reti da posta derivanti di cui è vietato l’uso, si deve, in primo luogo, rilevare che la Repubblica italiana non ha fornito dati quantitativi se non con riferimento agli anni 2005-2007. Tuttavia, tali dati attengono ad un periodo largamente successivo alla data di scadenza fissata nel parere motivato, ragion per cui non consentono di valutare se, nel periodo precedente tale data, le autorità italiane procedessero alla confisca di dette reti, in modo tale da dissuadere dal compimento di infrazioni della stessa natura.

75 In secondo luogo, anche qualora i dati prodotti dalla Repubblica italiana al punto 17 della propria controreplica potessero essere presi in considerazione, dai medesimi emergerebbe che, nel 2006, sono stati sequestrati 633 000 metri di reti, corrispondenti a 108 reti, e che, nel 2007, tali cifre ammontano rispettivamente a 697 000 metri e a 235 reti. Tali dati sembrano quindi confermare le affermazioni della Commissione secondo cui il quantitativo di metri di reti sequestrato non è di per sé significativo e corrisponde ad un numero di reti decisamente ridotto.

76 Da tali elementi emerge che la Repubblica italiana è venuta meno ai propri obblighi di avviare azioni amministrative o penali sufficientemente efficaci per sanzionare i responsabili delle violazioni della normativa in materia di pesca mediante reti da posta derivanti e per privarli effettivamente dei benefici economici ricavati dalle infrazioni medesime. Ne consegue che il secondo addebito risulta fondato sotto tale profilo.

77 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni emerge che, non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento n. 2241/87 nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento n. 2847/93.

Sulle spese

78 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.

Per questi motivi, la Corte (Settima Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo provveduto a controllare, ispezionare e sorvegliare in modo adeguato, sul proprio territorio e nelle acque marittime soggette alla propria sovranità o giurisdizione, l’esercizio della pesca, segnatamente per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni che disciplinano la detenzione a bordo e l’impiego delle reti da posta derivanti, e non avendo provveduto in misura sufficiente a che fossero adottati adeguati provvedimenti nei confronti dei responsabili delle infrazioni alla normativa comunitaria in materia di detenzione a bordo e di utilizzo di reti da posta derivanti, segnatamente con l’applicazione di sanzioni dissuasive contro i soggetti di cui sopra, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 1, n. 1, del regolamento (CEE) del Consiglio 23 luglio 1987, n. 2241, che istituisce alcune misure di controllo delle attività di pesca, nonché degli artt. 2, n. 1, e 31, nn. 1 e 2, del regolamento (CEE) del Consiglio 12 ottobre 1993, n. 2847, che istituisce un regime di controllo applicabile nell’ambito della politica comune della pesca, come modificato dal regolamento (CE) del Consiglio 17 dicembre 1998, n. 2846.

2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme

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